La traumatologia vertebro-midollare rappresenta una delle più complesse e invalidanti patologie a carico della colonna vertebrale. Il moderno approccio a tale patologia prevede che le strutture coinvolte nel trattamento di questi pazienti debbano garantire la più qualificata e moderna assistenza, compresi anche lo studio di nuove metodologie per il trattamento e la prevenzione di ogni complicanza immediata (che si presenta all’atto dell’evento lesivo) o tardiva (che si manifesta quando la lesione può considerarsi definitivamente stabilizzata).
Si parla generalmente di pazienti politraumatizzati, che quindi hanno subito due o più lesioni a carico di organi vitali, almeno una delle quali mette in pericolo la vita del paziente. Traumi della strada, incidenti domestici o sportivi e infortuni sul lavoro sono alcuni degli scenari più frequenti e possono comportare lesioni isolate dell’apparato osteo-legamentoso o essere associati a lesioni del midollo spinale. In quest’ultimo caso possono essere causa di paraplegie e tetraplegie oppure, nei casi più gravi, di morte del soggetto. L’epidemiologia evidenzia che la patologia traumatica vertebro-midollare presenta un’incidenza di 15-40 casi/milione l’anno, con una distribuzione bimodale che vede un primo picco di incidenza nella fascia di età compresa tra i 15-25 anni in seguito ad incidenti stradali o infortuni in ambiente lavorativo e coinvolgono più frequentemente soggetti di sesso maschile.
Il secondo picco di incidenza si ha poi nell’età avanzata e le cadute sono la causa più frequente; l’osteoporosi e la degenerazione artrosica delle articolazioni possono infatti aumentare il rischio di lesioni del midollo a velocità di impatto più basse, a causa delle angolazioni anomale formate dalle articolazioni degenerate, della presenza di osteofiti che influiscono sull’ampiezza del canale vertebrale e della fragilità ossea che comporta un aumento del rischio di fratture.
Obiettivo
Per lo sviluppo di questa tesi è stato effettuato uno studio retrospettivo nell’Unità Operativa (U.O) di Neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliera San Giuseppe Moscati di Avellino, nel periodo che intercorre tra maggio 2022 e agosto 2022. Nello specifico i pazienti trattati erano quelli che riportavano traumi vertebro-midollari operati dal gennaio 2018. Dopo un’analisi della letteratura è stato deciso di tenere in considerazione in particolar modo i giorni di degenza dei pazienti, analizzando due variabili: il periodo in cui è avvenuto il trauma (prima e durante la pandemia del COVID19) e il tipo di trattamento.
Materiali e metodi
Quarantanove partecipanti (età media 52,9±26,2,22 F), di 1757 pazienti (pz) dell’U.O. di Neurochirurgia nel lasso di tempo tra gennaio 2018 e maggio 2022, sono stati selezionati per l’analisi dell’elaborato di tesi; di questi, 33 soggetti sono stati operati durante il periodo di pandemia COVID-19. La raccolta dati è avvenuta tramite l’analisi delle cartelle cliniche dei soggetti che hanno riportato fratture vertebro-midollari, i pazienti esclusi sono quelli che non rientravano in questa casistica. I pazienti selezionati presentavano traumi da caduta accidentale, 22 pz dei quali 7 operati prima della pandemia e 15 durante quest’ultima. I politraumatizzati erano 27 di cui 8 operati prima della pandemia e 19 durante il periodo pandemico. Sul campione di soggetti sperimentali sono stati effettuati diversi tipi di trattamento chirurgico a seconda del livello della lesione riportata e dell’interessamento o meno del midollo spinale:
- artrodesi lombare-lombosacrale con approccio posteriore (13pz);
- artrodesi dorsale-dorsolombare con approccio posteriore (21pz);
- artrodesi cervicale con approccio posteriore (5pz);
- artrodesi occipito-cervicale (4pz);
- laminectomia decompressiva (6pz).
Inoltre, i soggetti con lesioni mieliche erano 6, trattati con terapia cortisonica (Desametasone), rispetto a 43 con lesioni amieliche.
Risultati
Dopo un’analisi della letteratura è stato tenuto in considerazione in particolar modo i giorni di degenza dei pazienti, analizzando due variabili: il periodo in cui è avvenuto il trauma (prima e durante la pandemia del COVID19) e il tipo di trattamento. Da tale analisi si è riscontrato che:
- La degenza media è stata di 15 giorni (±12), con una differenza in base al tipo di trauma: la degenza media dei pazienti con politrauma (19, ±14,4) era maggiore di quella dei pazienti con trauma dovuto ad una caduta accidentale (12, ±9,8).
- Durante la pandemia i giorni di degenza media per i pazienti sono lievemente diminuiti (14, ±1,4), rispetto al periodo prima della pandemia di COVID19 (17, ±14,3).
- I giorni di degenza per i pazienti politraumatizzati prima della pandemia erano maggiori (20, ±15,7) rispetto al periodo durante la pandemia (18, ±14), invece per i traumi da caduta accidentale è successo il contrario: prima della pandemia erano minori (11, ±9) e successivamente i giorni in media sono aumentati (13, ±10).
- Inoltre, si è evidenziato che il trattamento con il maggior numero di giorni di degenza è stato quello dell’Artrodesi cervicale con approccio posteriore (24, ±23); il trattamento dell’Artrodesi dorsale-dorsolombare e quello dell’Artrodesi occipito-cervicale hanno riportato dei giorni di degenza molto simili (dorsale 16, ±14; occipito-cervicale 15, ±11); mentre il trattamento di artrodesi lombare-lombosacrale e quello della laminectomia decompressiva hanno riportato il minor numero di giorni di degenza (lombare 12, ±5; laminectomia 10, ±5).
Come ci si aspetterebbe, i pazienti politraumatizzati presentano un maggior numero di giorni di degenza, rispetto ai pazienti con traumi da caduta accidentale, poiché il loro stato compromette una o più funzioni vitali. In base alla situazione sanitaria dal 2020 al 2022 ci si aspetterebbe di riscontrare più cadute accidentali (in ambiente domestico) rispetto ad un politrauma, come per esempio gli incidenti stradali. Eseguendo un’attenta analisi i risultati confermano questa ipotesi, poiché durante il periodo pandemico l’incidenza dei traumi da caduta accidentale è aumentata.
In base al tipo di trauma, mi sarei aspettato che il maggior numero di giorni di degenza fosse per i pazienti trattati con la laminectomia decompressiva poiché una lesione al livello del midollo spinale può portare molte più complicazioni. Ciò non viene confermato dai dati dell’elaborato, i quali hanno evidenziato che il maggior numero di giorni di degenza sono quelli inerenti ai traumi cervicali. Questo risultato potrebbe essere dovuto alla numerosità del campione, in quanto i soggetti che sono stati trattati con la laminectomia decompressiva sono minori rispetto a tutti gli altri trattamenti.
I pazienti ricoverati durante il periodo della pandemia hanno visto un decremento dei giorni di degenza. Ritengo che ciò possa essere dovuto alla situazione sanitaria vigente in tale periodo, poiché l’emergenza sanitaria che gli ospedali si sono trovati ad affrontare ha fatto sì che i tempi venissero ottimizzati così da limitare il numero di contagi all’interno delle aziende ospedaliere.
Conclusioni
Una lesione a carico della colonna vertebrale è tra le esperienze più drammatiche che un individuo possa affrontare e, dal punto di vista assistenziale, è una delle sfide più impegnative alla quale deve far fronte il sistema sanitario; ogni paziente è vittima di un evento a sé stante e ogni evento produce effetti diversi sul corpo del soggetto che si vanno a sommare ad eventuali condizioni cliniche preesistenti. Il trattamento delle lesioni vertebro-midollari, nonostante tutt’ora sia un argomento delicato data la mancanza di nuove evidenze specifiche, è un ambito di studio in continuo accrescimento. Gioca un ruolo importante la figura infermieristica sia in ambiente ospedaliero che extraospedaliero. Questo perché un infermiere che ha ricevuto un’adeguata formazione è in grado di riconosce le dinamiche a rischio di provocare lesioni spinali, dallo studio del luogo del trauma alla conoscenza approfondita della clinica. È quindi di fondamentale importanza che l’infermiere abbia la capacità di guardare al caso clinico in modo olistico, prevenendo le possibili lesioni prima di verificarne la presenza e ragionando anche su quali potrebbero essere gli esiti del proprio intervento a lungo termine.
In conclusione, tale lavoro potrebbe fornire le basi per futuri studi prospettici, il cui obbiettivo sia quello di gestire al meglio i pazienti con fratture vertebro-midollari, sia in fase extraospedaliera che ospedaliera, ottimizzando l’assistenza destinata ad essi, al fine di garantire un attento monitoraggio e favorire un ripristino più rapido di condizione di salute ottimali. C’è da specificare che la riduzione dei tempi di degenza osservata durante la pandemia potrebbe essere un ulteriore oggetto di studio al fine di valutare se tale riduzione ha interessato anche altre patologie. In questo modo si potrebbe arrivare ad un’ottimizzazione dei tempi di assistenza da sfruttare anche a pandemia terminata.