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Tra provette e vetrini, un lavoro oscuro che occorre da valorizzare

[dropcap color=”#000000″ style=”style-1″ background=”#ffffff” ] T[/dropcap]ecnici sanitari di laboratorio biomedico: professionisti che hanno specifiche competenze nell’ambito del laboratorio di analisi che comprende vari e diversificati settori generali e specialistici che spaziano dalla Anatomia patologica, alla medicina di laboratorio, alla microbiologia e virologia trasfusionale, alla genetica fino ad altri settori specializzati con un profilo professionale disegnato dal decreto ministeriale n 745 del 1994.
Alessia Cabrini, presidente nazionale Antel (Associazione italiana tecnici sanitari di laboratorio biomedico) al convegno di Rimini ha moderato tutta la sessione del premio conferito alla miglior laurea magistrale e master con valutazione delle tesi di laurea dei professionisti specializzati con competenze post base. “L’iter formativo della nostra figura professionale – avverte Cabrini – consiste in una laurea triennale in tecniche di laboratorio biomedico e una successiva formazione post base con laurea magistrale in tecniche sanitarie diagnostiche e infine il master di primo e secondo livello post universitario”.
Fari puntati sui nodi della professione: i problemi sono correlati a un impiego che dovrebbe valorizzare le competenze e garantire l’accesso ai concorsi che invece sono pochi rispetto al fabbisogno stimato. “Ciò – avverte Cabrini – si riverbera sulla qualità del lavoro, sui carichi di lavoro e sullo sbilanciamento delle competenze, all’interno dei laboratori piccoli o grandi che siano, su figure di altri professionisti biologi e medici dell’equipe mentre servirebbe un riconoscimento maggiore delle competenze del tecnico che sono centrali nella routine del laboratorio e integrate a quelle degli altri professionisti. Non è un caso che il 70% delle decisioni mediche e quindi relative alle terapie del paziente si basano su dati che il tecnico fornisce con il suo lavoro”.

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