Sindrome dell’intestino irritabile come sequela un anno dopo l’infezione da SARS-CoV-2. È quanto emerso da un recente studio pubblicato su “The american journal of gastroenterology” in cui è emersa la presenza e persistenza di diversi disturbi di natura gastrointestinale in pazienti ospedalizzati a causa del COVID-19.
LA SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE
La sindrome dell’intestino irritabile è una malattia funzionale molto comune e debilitante, caratterizzata da un dolore e/o fastidio addominale di diversa entità che migliora dopo l’espulsione di gas e feci. Si tratta della condizione più comune a livello gastrointestinale nella popolazione. Non riconosce una causa organica e ha eziopatogenesi sconosciuta. Le cause alla base possono essere sia legate a fattori fisici che psichici.
A conferma di ciò i sintomi tendono ad aggravarsi in situazioni di forte stress fisico e mentale. Oltre al dolore addominale possono essere presenti stipsi, diarrea, flatulenza e dispepsia. Non essendo un disturbo organico la diagnosi avviene per esclusione, dopo aver escluso altre patologie ed avvalendosi dei criteri diagnostici di “ROMA IV”.
Il trattamento include misure dietetiche e di corretto stile di vita alimentare, una buona idratazione, attività fisica fino alla somministrazione di farmaci sintomatici in base al disturbo manifestato dal paziente (dai comuni anti-infiammatori, procineciti e antidiarroici ad antidepressivi che diminuiscono la sensibilità viscerale).
LO STUDIO
Lo studio, denominato GI-COVID-19 (gastrointestinal symptoms in coronavirus-19 disease) è stato condotto dalla Medicina interna e Gastroenterologia dell’IRCCS Policlinico Sant’Orsola di Bologna su oltre 2.000 pazienti ospedalizzati per COVID-19 in dodici nazioni europee che sono stati seguiti non solo durante il ricovero ma dopo un mese e dopo un anno dalla loro ospedalizzazione.
I risultati hanno evidenziato che la presenza di sintomi di diversa natura gastrointestinale si verificava in maniera più frequente in questo gruppo di pazienti rispetto al gruppo di controllo. Inoltre, a distanza di un mese dalla guarigione dal COVID-19 gli stessi lamentavano nausea confermando la persistenza di questi disturbi gastrointestinali soprattutto nei soggetti con un BMI elevato, proteina C reattiva elevata e dispnea.
Lo studio ha analizzato i pazienti un anno dopo la loro ospedalizzazione mostrando come il 3.2% dei soggetti esaminati continuasse a manifestare e lamentare disturbi di natura gastrointestinale. Disturbi comparsi dopo l’infezione da SARS-CoV-2 e non presenti in precedenza, compatibili coi criteri diagnostici della sindrome dell’intestino irritabile. Sindrome che può essere annoverata pertanto fra i disturbi del LONG-COVID a conferma di altri studi che evidenziavano un’alterazione del microbiota intestinale nel COVID-19.
UNA RIFLESSIONE
I dati emersi dallo studio conducono ad una riflessione comune: considerando che in Italia sono oltre 17 milioni i soggetti che hanno contratto la malattia da COVID-19, potrebbe esserci circa mezzo milione di italiani con insorgenza di sindrome dell’intestino irritabile post covid. Dati importanti che ampliati a livello mondiale portano ad un possibile interessamento clinico di milioni di persone. Successivi studi e analisi con casistica più ampia e relativo monitoraggio potranno sicuramente dare più indicazioni.
Il COVID-19 ed il fenomeno del LONG-COVID si confermano patologie insidiose multifattoriali che interessano più organi e non devono essere sottovalutate ma approfondite.