[dropcap color=”#000000″ style=”style-1″ background=”#ffffff” ] U[/dropcap]na nuova scoperta potrebbe aprire la strada allo sviluppo di nuove cure contro il tumore ovarico, uno delle principali cause di morte per tumore ginecologico e la quinta per tumore nelle pazienti dei Paesi sviluppati.
La scoperta, è frutto di uno studio italiano pubblicato su Nature Communications, ad opera dei ricercatori dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE) con il sostegno dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc).
Lo studio ha portato alla luce un meccanismo attraverso il quale, le cellule tumorali sviluppano metastasi e non rispondono alle terapie: l’interazione fra tre proteine che risultano essenziali per la crescita di neoplasia.
“Abbiamo identificato una nuova vulnerabilità delle cellule tumorali – sottolinea Gennaro Ciliberto, direttore scientifico IRE – che una volta colpita può ridurre l’aggressività delle cellule del tumore sieroso dell’ovaio e che potrebbe essere utile a progettare nuove strategie terapeutiche e prognostiche”.
Questa patologia colpisce ogni anno 5200 donne in Italia e poco meno di 300 mila nel mondo, e nel 75% dei casi viene diagnosticata in fase avanzata. Il carcinoma sieroso ad alto grado è il sottotipo più comune e rappresenta l’80% circa dei tumori ovarici in stadio avanzato, spesso associati a una prognosi infausta.
Ad oggi, dichiarano gli esperti, non esistono ancora terapie specifiche per il tumore dell’ovaio sieroso ad alto grado, una delle forme con rischio di recidiva elevato, ma i risultati di questo studio potrebbero rivelarsi efficaci per il trattamento questo sottotipo tumorale.
L’interazione fra tre proteine
Il nuovo studio porta alla luce un meccanismo attraverso cui le mutazioni della proteina p53 rendono più aggressivo questo tumore, creando un inaspettato sistema di comunicazione.
Per cercare di capirne la ragione, i ricercatori hanno scoperto che, in molti casi, la p53 mutata si lega ad un’altra proteina chiamata YAP, uno degli interruttori generali del cancro, in una ‘liaison’ pericolosa che porta i tumori a resistere alla chemioterapia. Un ruolo avrebbe anche una terza proteina, la beta-arrestina. Grazie a una serie di esperimenti condotti con cellule tumorali che derivano dal paziente, i ricercatori hanno dimostrato che, insieme, le tre proteine – beta-arrestina, p53 mutata e YAP – costituiscono una piattaforma di coordinamento per altri segnali che consentono alle cellule tumorali di eludere la risposta al cisplatino, il farmaco di elezione nel trattamento del carcinoma ovarico.
La scoperta potrebbe avere una notevole rilevanza traslazionale, infatti avendo chiara la catena di eventi responsabili dell’aggressività tumorale, i ricercatori del Regina Elena hanno capito che è possibile interromperla utilizzando dei farmaci in uso clinico in grado di bloccare i recettori dell’endotelina. Di conseguenza, si rallenta la capacità di formare metastasi, rendendo le cellule tumorali sensibili alla chemioterapia.