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Rigenerazione tessutale per riparare le ferite e il cuore infartuato. Parte da Napoli la rivoluzione del futuro prossimo

È grande quanto una macchinetta da caffè, ma potrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione nel mondo della medicina. Si chiama «Fast healer Rigenera», ed è il kit progettato e prodotto da Hbw Rigenera, società fondata da due scienziati napoletani di nome Antonio Graziano e Riccardo D’Aquino, che consente la rigenerazione dei tessuti. Su questo progetto l’azienda, che oggi ha sede a Torino ed esporta in più di 50 Paesi nel mondo, è stata contattata dalla Nato. L’idea dell’Alleanza atlantica è di dotare il dispositivo medicale ai civili in Ucraina, ora che l’offensiva russa si sta facendo ancora più violenta e martellante, così da facilitare e velocizzare le operazioni di soccorso e di cura dei feriti.

Ma come funziona questa «speciale macchinetta da caffè»?
In pratica, attraverso la sollecitazione delle cellule e dei micro innesti, Rigenera è in grado di curare rapidamente le lesioni provocate da colpi d’arma da fuoco o lacero-contuse oppure di natura chimica o termica. In una capsula, all’interno della quale c’è una soluzione fisiologica sterile, viene inserito il pezzo di pelle lesionato. Nell’arco di pochi minuti, attraverso una particolare attività di «esfoliazione» e disaggregazione, il frammento viene «ripulito» delle cellule morte o danneggiate per lasciare solo quelle sane e attive. In questo modo, il «tessuto nuovo» può essere riapplicato sulla ferita per esaltare, amplificare e accelerare la capacità rigenerativa delle cellule stesse. In pratica, un autotrapianto autologo. Il valore aggiunto del dispositivo è infatti che il paziente è donatore e ricevente allo stesso modo. Dunque, non ci sono pericoli di rigetto.

Lo stesso principio che, sempre Hbw Rigenera, ha applicato per la realizzazione di un altro dispositivo, presentato pochi giorni fa presso la sede centrale dell’Agenzia spaziale europea in Olanda, che consentirà degli «autotrapianti di pelle» in poco meno di mezz’ora grazie a un trattamento in tre step: grazie a un semplice prelievo di sangue, saranno ricreate in pochi minuti sfoglie sottilissime di epidermide da sovrapporre a qualsiasi tipo di ferita (da arma da fuoco, da taglio, da ustione) creando così un «cerotto di pelle» che sarà poi chiuso con del collagene spray che renderà la cicatrizzazione del tutto invisibile.

«Grazie alla sua comprovata efficacia, la tecnologia Rigenera può essere utilizzata da esperti chirurghi con molteplici modalità, nel campo della rigenerazione dei tessuti per fini terapeutici ma anche estetici», spiega il presidente di Hbw, Antonio Graziano. «La mission è quella di migliorare la cura dei pazienti promuovendo un’idea diversa di innovazione e rivolgendo l’attenzione verso nuovi orizzonti sempre con un approccio mini-invasivo».

IL CUORE

La stessa metodica di rigenerazione tessutale con i dovuti correttivi e sempre con un importante contributo partenopeo, promette di rivoluzionare il mondo della cardiochirurgia. L’azienda Hbw (acronimo di Humain Brain Wave), guidata dallo studioso Antonio Graziano, ha messo a punto un’alternativa molto promettente ai trapianti che potrebbe salvare milioni di vite riducendo al minimo i rischi legati a un intervento invasivo come la sostituzione del cuore quando il muscolo cardiaco è compromesso da malattie croniche e degenerative o congenite.
Il progetto Cardiograft, di Hbw, è un sistema che consente la rigenerazione delle parti del cuore mal funzionanti attraverso un micro innesto di tessuto prelevato dallo stesso paziente.
Una procedura innovativa in grado di abbattere notevolmente i pericoli conseguenti a un innesto di un cuore eteronomo con le difficoltà di individuare un donatore di vincere il rigetto.
Si tratta, infatti in questo caso, di un autotrapianto autologo che azzera i rischi di rigetto. Lo studio è già stato approvato in Finlandia, presso l’università di Helsinki e, in sei casi già trattati ha dato risultati importantissimi in termini di sopravvivenza del paziente. Tutti e sei i pazienti infartuati, infatti, sono stati trattati col «sistema Rigenera» e sono viventi dopo aver superato l’insulto acuto al muscolo cardiaco.

LA TECNICA

La procedura d’intervento è semplice: tramite una biopsia viene prelevato un piccolissimo frammento di cuore sano dallo stesso paziente da cui vengono poi ricavati tanti micro frammenti (in pratica, i micro innesti). Questi sono in grado, grazie alle cellule staminali presenti nei tessuti, di rigenerare la parte malata del cuore che non è altro che una cicatrice di tessuto inerte che, dopo un infarto non partecipa più alla contrazione ordinata e sincrona del cuore, creando di una sorta di «cerotto» ma vivo. In questo modo si crea una integrazione tra i micro innesti e le matrici organiche impregnate di gel di fibrina e a tessuto sottomucoso intestinale decellularizzato), o infiltrando i micro innesti direttamente nella parte malata del cuore perché si rigeneri dall’interno.

LA RIGENERAZIONE

Così la parte di cuore danneggiata non dev’essere né trattata con bypass né sostituita con tutto l’organo. Semplicemente viene autoriparata dalle stesse cellule dell’organismo che ricostruiranno il tessuto mancante danneggiato. Una vera rivoluzione che in futuro potrebbe aprire nuove strade a cure più sostenibili e a rischio rigetto zero per il paziente.
«Il progetto Cardiograft – spiega Antonio Graziano, amministratore delegato di Hbw – è l’innovativa procedura di rigenerazione cardiaca basata sulla tecnologia a micro innesti “Rigenera Hbw”. La tecnologia a micro innesti “Rigenera” permette il prelievo di un piccolo frammento di cuore, la sua disgregazione in decine di migliaia di micro particelle, appunto micro innesti, e l’immediata infiltrazione di questi all’interno della parete cardiaca o all’applicazione di un cerotto sulla superficie del cuore stesso».

LA SPERIMENTAZIONE

«Ad oggi il sistema è stato testato con successo all’Università di Helsinki grazie alla collaborazione fondamentale del professore Esko Kankuri su due trial clinici che hanno coinvolto 12 pazienti con problemi cardiaci su di un totale di 38 pazienti reclutati per lo studio”.

Ma cosa certifica la qualità di questa metodica, la sua sicurezza e quella dei materiali impiegati? Il tema della health biotechnology d’importazione è colpevolmente sottovalutato in Italia, considerato alla stregua di un tema di nicchia che interessa solo gli specialisti e pochi altri. Basterebbe pensare, infatti, ai prodotti scadenti che, durante la fase più acuta della pandemia, hanno invaso il nostro mercato creando enormi problemi i cui effetti ancor oggi leggiamo nelle cronache giudiziarie. In realtà, la questione dirimente è la certificazione di qualità come sistema di salvaguardia della salute dei cittadini di qualsiasi nazionalità».

Secondo Graziano, infatti, «serve una organizzazione internazionale di tutela e garanzia» in grado di poter proteggere il mercato e i consumatori da prodotti realizzati in Paesi dove i protocolli di sicurezza «sono sensibilmente inferiori a quelli vigenti in Europa e più in generale nel mondo occidentale».
«Servirebbe adottare il modello Iata, l’Associazione internazionale delle compagnie aeree che detta le norme per le compagnie – avverte l’esperto – senza distinzioni di sorta o di sudditanza nei confronti di nessuno. Oppure, un altro modello potrebbe essere l’Agenzia per l’energia nucleare. È necessario, insomma, un ente che accentri a sé le modalità e le procedure di controllo delle biotecnologie a livello mondiale».

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