I circa 48 mila precari da assumere in tutte le regioni italiane, come previsto dalla legge di Bilancio, sono una goccia nel mare: la Sanità italiana è infatti malata di carenze di personale. A tutti i livelli, in tutte le discipline: siano essi medici, infermieri, personale tecnico e in alcuni distretti e articolazioni territoriali, mancano anche gli amministrativi.
Ha fatto gridare allo scandalo la presa di posizione del governatore della Campania Vincenzo De Luca che, in Conferenza Stato Regioni, nei giorni scorsi, è tornato a ribadire per la terza volta il suo no al Dm 71, per la riforma delle cure territoriali propedeutica al via libera alle misure del Pnrr, se non accompagnate dai fondi per il personale.
“Ricordo che in Conferenza serve l’unanimità – ha detto De Luca – altrimenti il Governo non può andare avanti o deve prendersi le proprie responsabilità facendo una scelta ma esponendosi ai ricorsi alla Corte Costituzionale. Il Governo vuole darci ottocento milioni di euro di fondi europei per realizzare 170 Case di comunità e colmare un gap rilevante e storico per la medicina territoriale ma non ci dice dove prenderanno i fondi per il personale e per i costi connessi. Se resta tale situazione come Regione Campania non daremo l’ok all’intesa in Conferenza Stato-Regioni”.
In sede di confronto tra Governo e Regioni è stato dunque chiesto al Governo di indicare le risorse per il personale che dovrà lavorare all’interno delle Case di comunità. Il Pnrr stanzia oltre 10 miliardi per la riforma della Sanità del nostro Paese ma investe sulle mura, sulle tecnologie e sui processi ma non prevede risorse per i camici bianchi che dovranno popolare quelle corsie e quelle funzioni nuove e integrate. “Ci hanno detto poi vedremo – ha chiosato De Luca – ma poi vedremo che? Sono dieci anni che non si vede mai la fine del tunnel” ha infine concluso il presidente della Regione Campania che guida una delle compagini più penalizzate dai tagli degli ultimi dieci anni, trascorsi in regime di Piano di rientro e a far quadrare i conti lasciando sul campo ben 15mila addetti.
La pandemia? Non ha aiutato, a dispetto dei tanti investimenti straordinari e fondi messi nel piatto per fare fronte al Coronavirus. Lungo tutto lo Stivale l’emergenza ha anzi aggravato la fuga dei camici bianchi che, per circa 25 mila unità negli ultimi due anni, hanno alzato bandiera bianca, estenuati dai turni, alle aggressioni, scegliendo di andare via, nel privato, in pensione anticipata, nelle retrovie aspetto alle prime linee sempre più affollate e pericolose.
E se un tempo, almeno per i medici, c’era l’imbuto formativo, ossia la presenza di tanti medici formati che non trovavano lavoro nei pochi concorsi oggi la domanda, per molte discipline, supera di gran lunga l’offerta. E il reclutamento comprende anche gli specializzandi al terzo e quarto anno di corso e ha intanto debuttato la laurea abilitante. La penuria di operatori è diventata insomma acuta, insostenibile per garantire i servizi.
IL SUD
Il Sud in generale e la Campania sono le aree del Paese in cui il rapporto tra operatori e malati è tra i più bassi. Nelle corsie l’esercito è rimaneggiato. Tra medici, infermieri e tecnici mancano all’appello almeno 65 mila unità di cui 15 mila medici e non si trovano in molte aree interne del Paese i medici di famiglia. Ora che l’emergenza Coronavirus è alle spalle, almeno sul piano giuridico al netto di spazi e ospedali ancora dedicati alle cure per il Coronavirus ma bisogna fare i conti con il boom di richieste di ricoveri e prestazioni ambulatoriali e specialistiche per risalire la china delle liste di attesa accumulatesi durante i numerosi lockdown con un milione e 700 mila ospedalizzazioni in meno rispetto al 2019 e oltre 600 mila interventi chirurgici rimandati e da recuperare.
Dal 2009, anno di massima espansione delle dotazioni organiche, sono state perse 6 mila medici. In dieci anni, fino al 2019, sono stati tagliati 50 mila posti per gli operatori sanitari, soprattutto al Sud. Regioni come la Campania, la Calabria, la Puglia e la Sicilia sono oggi le aree che più soffrono per la mancanza di personale sanitario a fronte di una massima richiesta di anestesisti e medici di urgenza che servono per coprire l’amplificazione dei posti letto garantita dal Covid e le prime linee sempre più in affanno. Per non parlare delle figure del comparto: infermieri e tecnici in alcune realtà sono talmente all’osso da non garantire neppure l’agibilità dei percorsi di formazione. Il colpo di grazia proviene dall’impossibilità di garantire il turn-over visto che ogni anno vanno in pensione tra i 5 e i 6 mila medici che non si riescono a rimpiazzare. La sostenibilità economica delle borse delle scuole di specializzazione per i medici (le uniche remunerate) è solo un anello di una lunga catena di disfunzioni che vanno affrontate sul piano giuridico ed organizzativo. La parola d’ordine è garantire risorse per le assunzioni e la formazione dei medici e rispondere agli obiettivi del Pnrr per il rilancio della Medicina territoriale
LA GRANDE SFIDA
“La grande sfida a cui siamo chiamati, accanto agli impegni del Pnpp per ospedali e case di comunità – ha detto Massimiliano Fedriga, presidente della Conferenza delle Regioni e governatore del Friuli, alla Conferenza nazionale sulla Questione Medica, organizzata e promossa dalla FNOMCeO che si tenuta a Roma al teatro Argentina è fare in modo di disporre del personale sanitario per garantire davvero il diritto alla salute ai nostri cittadini. Per questo è diventato inaccettabile che ad ogni cambio di Governo si cambino le macrostrategie. In sanità c’è bisogno di una prospettiva almeno decennale. E su un percorso di medio-lungo periodo la Conferenza delle Regioni è disposta ad impegnarsi fino in fondo anche perché in questo momento soltanto con l’unità tra istituzioni e tra professionisti è possibile guardare al futuro con una prospettiva che non sia di un giorno solo”.
“Durante la pandemia – ha ricordato Fedriga – le Regioni hanno trovato nei medici un alleato prezioso e sin dalle fasi iniziali dell’emergenza la prima cosa che hanno fatto è stato ascoltare i loro medici per compiere le scelte più opportune. E i medici – ha ricordato il Presidente della Conferenza delle Regioni – vanno ringraziati per l’apporto dato all’imponente campagna vaccinale grazie alla quale oggi è possibile affrontare la pandemia con maggiore serenità, e grazie alla quale si sono potute riaprire tutte le attività economiche. Con i medici abbiamo potuto affrontare le indubbie difficoltà del servizio sanitario del Paese che non sono connesse al Covid-19, ma che con la pandemia sono emerse ancora più nettamente.
Ad esempio – ha detto Fedriga – la mancanza di professionisti, di medici, è il frutto di una ventennale mancata programmazione. Sappiamo che per formare un medico ci vogliono anni, non un mese o due. Occorre allora una programmazione di medio periodo, dobbiamo fare, insieme al sistema formativo, al livello nazionale, una pianificazione seria, partendo dai numeri per formare i medici necessari. Come sistema regionale noi ci siamo e peraltro le Regioni integrano anche con fondi propri le borse per le specializzazioni.Ma mancano risorse, va detto con chiarezza. Mancano fondi, ad esempio, per tutta la parte premiale, anche se un primo passo importante, ma non sufficiente è stato fatto sul fronte dell’emergenza ed urgenza. Lo stesso indubbio aumento del fondo sanitario nazionale di due miliardi – ha aggiunto Fedriga – va riconosciuto, ma va letto attentamente, perché si tratta di un risorse vincolate.
Oggi però siamo chiamati ad una grande alleanza con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, rispetto alla quale occorre una generale assunzione di responsabilità, perché bisogna fare in modo che la medicina territoriale dia risposte concrete ad una popolazione che invecchia sempre più e che registra un numero crescente di cronicità. E rispetto a scelte basate sull’appropriatezza occorre considerare che, quando mancano i livelli strutturali intermedi, si è costretti a far ricorso agli ospedali non tanto per necessità ma per mancanza di reali alternative. Per questo – ha sottolineato Fedriga – è importante la missione del Pnrr con gli ospedali di comunità e le case di comunità: ci sono le risorse importanti per creare infrastrutture, dobbiamo però avere anche fondi dedicati per riempire quelle strutture e per far funzionare la riforma della medicina territoriale”.
LA MEDICINA DEL TERRITORIO
“Questi due anni di Pandemia purtroppo non ci hanno insegnato nulla e ancora una volta, anche noi del Sumai Assoprof, siamo costretti a sottolineare che il personale sanitario necessario al fabbisogno è insufficiente: mancano i medici chirurghi, gli odontoiatri, gli infermieri, i tecnici, gli psicologi, i biologi, i medici veterinari, i chimici”. È quanto ha affermato Luigi Sodano del Sumai-Assoprof. “In particolare – ha detto – , tra i medici chirurghi dovremmo avere più medici di medicina generale, più specialisti ambulatoriali territoriali e più specialisti ospedalieri. Facendo sintesi possiamo affermare che senza operatori sanitari non si fa sanità, si fa altro. E quando dico “si fa altro”, intendo dire che c’è l’assalto alla diligenza, il PNRR, che con i suoi miliardi destinati alla sanità è diventato attrattivo per chi vuole costruire case della comunità, per chi vuole costruire ospedali di comunità, per chi vuole vendere attrezzature elettromedicali, devices e piattaforme di telemedicina, per chi vuole rafforzare l’infrastruttura tecnologica ed il Fascicolo Sanitario Elettronico, per chi vuole proporre programmi di formazione per medici e via dicendo”.
“Qualcuno ha pensato agli utenti finali? Agli utilizzatori? Al personale necessario per far funzionare il sistema? Avremo software ai quali noi medici e il personale sanitario tutto dovrà adattarsi, pensati e realizzati senza avere ascoltato le nostre esigenze e che, molto probabilmente come già successo in passato, allungheranno i tempi del medico davanti al computer ridicendo il tempo di cura da dedicare al paziente”, ha proseguito. “Apparecchiature per diagnosi e cura – ha rimarcato – che probabilmente andranno dove magari non servono o attrezzature non consone o adatte a chi le deve usare e che però ne avrà la responsabilità davanti ai cittadini. In sostanza un’importante quantità di denaro che però in assenza del personale necessario non risolverà i problemi di accesso alla salute degli italiani, indebitando per i prossimi anni il Paese e i nostri figli e dando utili a pochi soggetti. C’è sempre più necessità di prossimità, le farmacie si propongono come presidio di prossimità, addirittura le Poste Italiane propongono le loro agenzie diffuse sul territorio come presidi sanitari di prossimità, anche con strumenti di telemedicina e quindi per antonomasia non di prossimità ma da remoto”.
“Eppure sembrerebbe che l’idea di governare il problema delle liste sinora perseguita sia quella di farlo senza i medici specialisti ambulatoriali interni. Più volte, il ministro lo sa perché ne abbiamo parlato con lui, abbiamo proposto di dare la possibilità agli specialisti ambulatoriali già in servizio nelle ASL di arrivare al massimale orario di 38 ore settimanali, ma si sa che le soluzioni ovvie non vanno bene. Dunque meglio buttare le risorse economiche in progetti di abbattimento per brevi periodi di tempo invece che provare a realizzare soluzioni strutturali in grado di governare il fenomeno in maniera definitiva. Come SUMAI Assoprof raccogliamo le numerose testimonianze di colleghi specialisti ambulatoriali che lamentano il fatto di lavorare sempre più spesso in ambienti fatiscenti, senza attrezzature moderne, spesso in solitudine. Sappiamo che quando vanno in pensione non vengono sostituiti nonostante le norme ne prevedano obbligatoriamente la sostituzione con il pieno utilizzo delle risorse economiche liberate da destinare ad un collega più giovane. E invece no, si preferisce non sostituire lo specialista andato in pensione preferendo promuovere manifestazioni di interesse o precariato. Non prendiamoci in giro le soluzioni ci sono ma non si vogliono perseguire e questo discorso purtroppo vale anche negli ospedali dove non si fanno concorsi.
In conclusione, spero veramente che tra di noi non ci sia chi pensa di poter sostituire il medico, la sua conoscenza, la sua professionalità con la tecnologia. Non cercate soluzioni fantasiose che non risolvono il problema e piuttosto stabilizzate i precari, assumete i giovani, aumentate le ore agli specialisti ambulatoriali. Ascoltate noi medici che lavoriamo nel sistema, dateci fiducia perché senza di noi non si fa la Sanità”.