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Responsabilità professionale e qualità delle cure: una nuova vision per le professioni sanitarie

di Antonio Di Lascio *

Professioni e Lavoro

V ision è il termine utilizzato nella gestione strategica per indicare la rappresentazione di uno scenario futuro che rispecchia gli ideali, i valori, le aspirazioni e per incentivare all’azione.
Anche la cultura della Responsabilità sanitaria deve spingere le professioni sanitarie ad una nuova “vision” del proprio operare e ad una nuova azione: quella per la quale la stessa Responsabilità professionale diventa un modo di essere e di fare.
Con la promulgazione della Legge 24 del 2017, meglio nota come Legge Gelli – Bianco, recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” è aumentata esponenzialmente, l’attenzione, da parte di tutti i professionisti sanitari, a questo tema soprattutto per gli aspetti concernenti il risarcimento del danno alla presunta vittima, o eredi, della cosiddetta malasanità e delle condanne che, in sede civile e penale, ne possono scaturire, con il timore di ripercussioni sul patrimonio personale (es. rivalsa o responsabilità amministrativa) e delle conseguenze professionali e sociali in esito ad eventuali sentenze passate in giudicato e che acquisiscono certezza definitiva, senza che le stesse questioni possano essere messe, nuovamente, in discussione (ad esempio, mediante la loro impugnazione, secondo i termini stabiliti). Secondo le casistiche giudiziali, i reati maggiormente ricorrenti più gravi, nell’ambito dell’attività professionale, sono rappresentati dalle lesioni personali colpose (art. 590 c.p.), lesioni personali dolose (art. 582 c.p.), omicidio colposo (art. 589 c.p.), esercizio abusivo della professione (Art. 348 c.p.). 

•           La Legge 24/2017 Alla luce del contesto professionale, che vede l’esercente responsabile degli atti di sua competenza, la legge 24/2017, nel perseguire l’obiettivo di garantire la sicurezza delle cure, quale “parte costitutiva del diritto alla salute, perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività” (L. 24/2017 art. 1 co. 1), ha introdotto un sistema virtuoso ed organizzato (pro-attivo) di protezione del professionista e dell’utente, con l’intento di domare i rischi insiti nell’erogazione della prestazione sanitaria, nella comune e condivisa consapevolezza della particolarità della scienza medica e dell’unicità del paziente preso in carico. In estrema sintesi, volendo consegnare al lettore, un’analisi schematica, possiamo affermare che la legge 24/2017, individua, quali principali strumenti, tra essi concorrenti:

  •  le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio clinico connesso con l’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative (art. 1),
  •   l’attenersi, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie, con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, a linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali, salvo le specificità del caso concreto, elaborate da soggetti abilitati e iscritti in apposito elenco istituito presso il Ministero della Salute (art. 2);
  •   l’introduzione, con l’art. 590-sexies nel codice di procedura penale, della “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”, delimitando la punibilità dei reati, se commessi nell’esercizio della professione sanitaria, previsti dall’art. 589, omicidio colposo e dall’art. 590 lesioni personali colpose (art. 6)
  •  il danno viene risarcito sulla base di specifiche tabelle riferite al Codice delle Assicurazioni (artt. 138 e 139 del D. Lgs. 209/2005) integrate per tener conto delle fattispecie da esse non previste, ove necessario, e la Responsabilità civile è valutata (art. 7):
  • per la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata: ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile,
  • per l’operato degli esercenti la professione sanitaria: ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile.
  • per le azioni di risarcimento sono introdotti gli strumenti:
  • del tentativo obbligatorio di conciliazione/mediazione (art. 8), quale condizione di procedibilità  
  • azione diretta del danneggiato nei confronti dell’impresa assicuratrice che presta copertura assicurativa alle strutture sanitarie o all’esercente la professione sanitaria (art. 12)

•            L’obbligo di copertura assicurativa (art. 10), per

  •  le strutture sanitarie o sociosanitarie, per la responsabilità civile verso terzi e prestatori d’opera, o di altra analoga misura    
  •  ciascun esercente operante a qualunque titolo in strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private che provvede alla stipula, con oneri a proprio carico, di un’adeguata polizza di assicurazione per colpa grave         

•           la consulenza tecnica (art. 15), con il suo affidamento, nei giudizi di responsabilità sanitaria (civili e penali), da parte dell’autorità giudiziaria, oltre che ad un medico specializzato in medicina legale, a specialisti esperti, con riferimento a tutte le professioni sanitarie , dotati di pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento.Ulteriori strumenti sono rappresentati, dall’attribuzione della funzione di garante per il diritto alla salute all’ufficio regionale del difensore civico (art. 2), l’istituzione presso l’AGENAS dell’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità (art. 3), l’obbligo di trasparenza dei dati sulle prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private (art. 4), l’azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa, compiuto secondo alcuni limiti (art. 9), l’estensione della garanzia assicurativa ai periodi di retroattività ed ultrattività (art. 11), obbligo di comunicazione all’esercente la professione sanitaria dell’instaurazione del giudizio promosso da un danneggiato (art. 13), istituzione del fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria (art. 14). Allo stato attuale, non sono stati ancora emanati i regolamenti attuativi previsti dall’art. 10 (obbligo di assicurazione) della legge 24/2017, dai Ministeri competenti ed in particolare: – la definizione dei criteri e modalità per la vigilanza e il controllo dell’IVASS sulle imprese di assicurazione che intendano operare in àmbito sanitario (comma 5); – la determinazione dei requisiti minimi delle polizze assicurative e le condizioni generali di operatività delle altre analoghe misure, anche di assunzione diretta del rischio (comma 6), – l’individuazione dei dati, relativi alle polizze di assicurazione stipulate e alle altre analoghe misure, da comunicare all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, e per l’accesso a tali dati (comma 7).

•          La Responsabilità professionale Il livello di Responsabilità, oggi in capo a ciascun esercente la professione sanitaria, si è notevolmente evoluto e, tale profonda evoluzione, è da attribuirsi al passaggio subito, da logiche di ausiliarietà, basate su mansioni di complemento, alla conquista dell’autonomia responsabile, fondata sull’integrazione delle competenze professionali nell’adempimento delle prestazioni a cui, più esercenti una professione sanitaria, sono chiamati a compartecipare, secondo il principio dell’affidamento. Tale processo di cambiamento (iniziato con il D. Lgs. 502/1992), ha trasferito la formazione all’ambito universitario, con specifici percorsi formativi e la consequenziale affermazione dello status di “Professioni intellettuali”, determinando, infatti il superamento dei “mansionari”. Questo processo ha riconosciuto a ciascuna professione sanitaria, attraverso i rispettivi profili professionali, ambiti di competenza ed autonomia (aventi ad oggetto attività organizzate e dirette alla cura, prevenzione e salvaguardia della salute individuale e collettiva), esclusivi e caratterizzanti, legittimando il singolo professionista ad operare nelle funzioni di cui è capace in ragione dello specifico percorso formativo, di elevata qualificazione, seguito a livello universitario, per l’abilitazione all’esercizio professionale senza limiti della propria capacità di agire, seppur nel rispetto e nella comprensione che il proprio operato si inserisce ed è strettamente correlato con quello degli altri professionisti sanitari che compartecipano alla realizzazione della prestazione. Infatti, “se il professionista, 1) rispetta le leggi dello stato ed i codici comportamentali, previsti dal suo ordine; 2) agisce nel rispetto del suo bagaglio tecnico-culturale; 3) calibra l’agire all’esperienza e alla qualità professionale personale (facendo quello che è consapevole di poter e saper fare), non ha necessità di mansionari, nè di definire un “atto” suo proprio o di crearsi un’area di attività che non potrebbe mai avere confini precisi ed essere esaustiva, ma solo limitativa quella degli altri vari professionisti i quali, nell’area sanitaria, spesso hanno conoscenze comuni e/o sovrapponibili, se pur acquisite a diverso livello scientifico e, soprattutto, ovviamente per diverse finalità. Nella propria attività che, necessariamente viene ad embricarsi con l’attività medica, ciascun esercente una professione sanitaria, dovrà soltanto prestare attenzione a non sconfinare nel campo delle decisioni cliniche, della diagnosi e della relativa prescrizione terapeutica, riservata alla professione medica, rispettando le tipiche attività del proprio profilo professionale” (rif. Parere Tavani – Zanchetti 2014). Come anticipato, la Responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, viene considerata, dalla Legge Gelli-Bianco, con l’art. 6, che ha introdotto, nel codice penale il principio della “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario” (art. 590-sexies c.p.c.), assegnando alle raccomandazioni previste nelle linee guida clinico assistenziali o, nelle buone pratiche clinico-assistenziali, se applicabili al caso concreto, il compito di escludere la punibilità per le condotte imperite dal professionista sanitario, delimitando l’area di rilevanza penale della condotta del professionista.

A tale proposito è opportuno ricordare che:

  • l’attività sanitaria è espletata nei confronti della persona malata che, in quanto tale, è un soggetto debole, per cui, per il nostro ordinamento, gli inadempimenti e le offese a quel diritto, sono decisamente più gravi, di quelle in cui può incorrere un altro professionista, in altra disciplina che, pur cagionando un evento dal quale deriva un risarcimento, non provoca danni per la salute;
  •  nell’adempimento della prestazione sanitaria, il professionista è tenuto ad una diligenza che non è solo del buon padre di famiglia, ma definita quale “diligenza qualificata” (superiore a quella richiesta ad una comune persona), deve rispettare tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione sanitaria, quale debitore qualificato (art. 1176 comma 2 c.p.c.), determinata (la diligenza) sulla base della “speciale difficoltà” (art. 2236 c.p.c.) che la prestazione stessa presuppone, attraverso la soluzione dei problemi tecnici di speciale difficoltà (in cui il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave, ai sensi degli artt. 1176, 2104 del c.p.c.) ;
  •       l’erogazione della prestazione è sempre più fortemente influenzata dalla collaborazione multiprofessionale, dallo sviluppo tecnologico e dai progressi della ricerca scientifica in ambito clinico-sanitario.Premesso questo, occorre evidenziare, alcuni, degli ultimi orientamenti giurisprudenziali, molto interessanti, che dovremmo conoscere e soprattutto applicare per migliorare le modalità, con cui, alcune attività vengono condotte:
  • le linee-guida “non rappresentano un letto di Procuste insuperabile” (che significa doversi adattare forzatamente a una situazione molto difficile, che comporta immensi sacrifici e dolori), ma solo uno strumento per valutare la condotta del professionista in un modo che non può tuttavia prescindere dall’analisi del caso concreto. Infatti una condotta può essere considerata diligente se conforme alle linee-guida, ma, di contro, è anche vero che una condotta può essere diligente anche se non ci si attiene alle linee-guida e può non esserlo anche se ci si attiene, quando le particolarità del caso di specie, impongono di agire in un certo modo (Cassazione 30998/2018);
  • ciascun professionista, in quanto componente dell’equipe, “è tenuto a un obbligo di diligenza concernente non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche per il controllo sull’operato e sugli errori altrui, se rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio. Dal professionista che faccia parte, sia pure in posizione di minor rilievo, di una equipe si pretende dunque una partecipazione, non da mero spettatore, ma consapevolmente informata, in modo che egli possa dare il suo apporto professionale, non solo in relazione alla materiale esecuzione della sua prestazione particolare, ma anche in riferimento al rispetto delle regole di diligenza e prudenza ed alla adozione delle particolari precauzioni, imposte dalla condizione specifica del paziente a cui è diretta la prestazione stessa (Cassazione 31966/2018);
  • nel caso della cooperazione multidisciplinare, sia pure svolta non contestualmente, ogni sanitario, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, è tenuto ad osservare gli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico; ne consegue, per questo che, ogni sanitario, non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale, svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, o sia esso in posizione sovra o sotto ordinata, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio o facendo in modo che si ponga opportunamente rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali e, come tali, rilevabili ed emandabili, con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio (Rif. Cassazione penale 24/01/2005 n. 18548; 26/10/2011 n. 46824);
  •  in caso contrario, se cioè gli errori altrui non siano evidenti e non settoriali, non è affatto atteso che un professionista (in una disciplina) possa o debba contrastare o smentire, con la propria valutazione, quella dello specialista della specifica disciplina oggetto dell’iniziale valutazione, essendo opportuno e necessario, per questo, uno specialista con prolungata esperienza nell’ambito specifico. Infatti, se l’errore è non evidente e non settoriale, tale da essere rilevabile con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio, è suscettibile di percezione solo sulla base di cognizioni settoriali dello specialista in una determinata branca (Cassazione 26307/2019) implicanti cognizioni settoriali eccedenti le comuni conoscenze scientifiche del professionista medio.

Da questi presupposti si può facilmente comprendere come la materia della Responsabilità sanitaria sia molto complessa e specifica, nell’ambito della quale, vengono valutate le condotte del professionista, sia attive (azioni in violazione di un obbligo o un dover negativo di non fare) che omissive (violazione di un obbligo o dovere positivo di fare o di dare), tenute nell’esercizio delle proprie funzioni, lesive di particolari interessi giuridici. Come è stato rappresentato, l’imputabilità al professionista, di una condotta non conforme, in contrasto con le prescrizioni dettate da norme giuridiche del nostro ordinamento (valevoli per tutti i cittadini), o da norme  e pratiche specifiche della professione, non può limitarsi ad una semplice valutazione di, se e come, siano state applicate le linee guida, ma deve affrontare l’analisi del caso concreto ed esclusivamente sotto il profilo medico-legale, conferendo, nei procedimenti giudiziari, civili e penali, riguardanti la responsabilità professionale, un ruolo centrale alla Consulenza tecnica d’ufficio, che, alla luce della riforma operata con la legge Gelli – Bianco, consente, per ogni caso di responsabilità sanitaria, di usufruire di competenze metodologiche, provenienti dalla medicina legale ed argomentative provenienti dalla specifica branca sanitaria oggetto del contezioso e pertinente alla fattispecie oggetto del procedimento, interessando, a seconda della peculiarità del caso concreto, specialisti delle branche clinico-chirurgiche, e/o professionisti del settore sanitario, diversi dai medici.

Conclusioni

La responsabilità professionale necessità di essere affrontata con un approccio positivo, piuttosto che subita dal professionista, in un clima di timore, per il rischio di incorrere in controversie legali, per diventare una delle caratteristiche, con le quali, l’esercente una professione sanitaria, agisce per la tutela della salute della persona e la centralità del paziente, sfruttando appieno gli strumenti (sinteticamente indicati in precedenza), introdotti dalla Legge Gelli-Bianco e che ciascuna professione (oggi, tutte regolamentate ed ordinate) hanno l’esigenza di declinare per le proprie attività tipiche e riservate e nell’insieme, nel caso della cooperazione multidisciplinare, per la convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico per il quale, si sta erogando la prestazione o le prestazioni sanitarie.La responsabilità sanitaria è inevitabilmente correlata al progresso, scientifico, tecnologico ed intellettuale, con il quale quotidianamente ci misuriamo e che sostituisce, gradualmente, teorie e modelli desueti, con dei nuovi, maggiormente adeguati alla complessità delle situazioni, del tempo e dei compiti, attraverso l’acquisizione, nella pratica professionale, di nuove tecniche e tecnologie, diagnostiche e terapeutiche. Tale ampliamento delle conoscenze, correlato allo sviluppo di nuove tecniche ed in alcuni casi anche alla formazione di sub specialità, richiedono l’acquisizione di specifiche competenze teoriche e, soprattutto, pratiche con l’ inevitabile implementazione del campo delle responsabilità. A tale proposito è opportuno sottolineare, l’importanza del processo in atto, di definizione delle competenze avanzate delle professioni sanitarie, con cui, non soltanto incrementare ma anche sviluppare il potenziale del personale con particolare riguardo alla promozione, attuazione e diffusione di modelli organizzativo-assistenziali focalizzati sulla persona e l’espansione e/o l’estensione delle competenze dei profili professionali in considerazione delle attuali e future acquisizioni scientifiche.
Le “specializzazioni” per le professioni sanitarie sono state introdotte con l’art. 6, co. 1, lettera c, della L. 43/2006, che attribuisce (indirettamente), all’esercente, con il possesso di un master universitario, il titolo di specialista, con una formazione complementare a quella di base ad una specifica area di interesse professionale, scientifica e/o disciplinare, perseguendo differenti scopi, come: 1) l’ evoluzione professionale, 2) l’adeguamento del sistema a nuovi modelli organizzativi (connotati da una diversa e più ampia modalità di “presa in carico” del paziente); 3) l’adeguamento dei processi assistenziali (che di fatto ne permettono l’erogazione delle prestazione), 4) l’equiparazione sul piano internazionale; 5) permettere risposte più incisive alle mutate esigenze del contesto sanitario.

Se le “specializzazioni” sono una realtà dell’ambito professionale e formativo (post-universitario) non lo sono ancora nel contesto lavorativo, nonostante alcuni recenti interventi importanti:

  •  il nuovo contratto collettivo nazionale del comparto sanità: che ha introdotto e definito gli incarichi di funzione (art. 16), in attuazione del dettato di cui all’articolo 6 della Legge n. 43/06, nonché di quanto contenuto nei decreti istitutivi dei profili professionali ex terzo comma dell’art.6 del D.Lgs. n. 502/92, per l’esercizio di compiti derivanti dalla specifica organizzazione delle funzioni, delle aree di intervento delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione ed ostetriche, previste dall’organizzazione aziendale, con compiti aggiuntivi e/o maggiormente complessi e che richiedono significative, elevate ed innovative competenze professionali rispetto a quelle, classiche, del profilo posseduto, conferendo il titolo di professionista “specialista” o “esperto” (a quanti in possesso di master specialistico di primo livello). Attualmente, l’implementazione di tali competenze ha riguardato la sola regione Veneto che con una delibera ad hoc ha individuato (per gran parte delle professioni comprese nella legge 251/00 sia sanitarie che sociosanitarie) gli incarichi di professionista esperto funzionali all’organizzazione e programmazione regionale, le modalità per il riconoscimento di corsi e master già effettuati, le modalità per attivare nuovi corsi di specializzazione universitaria ed individuare chi possa partecipare.
  • l’approvazione dei master universitari specialistici per le 22 professioni sanitarie da parte dell’ “Osservatorio nazionale per le professioni sanitarie”, attraverso un elenco completo, ma non esaustivo, comprensivo di 90 corsi di master (trasversali, interprofessionali, specialistici), comprendo una lacuna formativa importante per l’applicazione della Legge 43/2006, che prevedeva il seguito della laurea triennale con due tipologie di master di primo livello, uno per le funzioni di coordinamento e l’altro per le funzioni specialistiche.

Come ogni legge, munita del sigillo dello Stato, anche la Gelli-Bianco, è raccolta negli atti normativi ufficiali della Repubblica italiana (GURI serie generale n. 24 del 17/03/2017) con il conseguente “obbligo a chiunque spetti, di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato”. È nostra convinzione che la declinazione di ciascun aspetto possa contribuire non soltanto ad un esercizio serio e attento di ciascuna professione sanitaria ma anche al miglioramento della sicurezza e della qualità delle cure. Anche le istituzioni ordinistiche di rappresentanza istituzionale, legittimate recentemente dalla legge 3/2018, sono chiamate alla realizzazione di questo aspetto, in quanto “promuovono e assicurano l’indipendenza, l’autonomia e la responsabilità delle professioni e dell’esercizio professionale, la valorizzazione della funzione sociale, la salvaguardia dei diritti umani e dei principi etici dell’esercizio professionale indicati nei rispettivi codici deontologici, al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva” (art. 1, co. 3 lett. c, D. Lgs. CPS 233/1946, come modificato dall’art. 4 della L. 3/2018). Questa visione positiva della cultura della Responsabilità professionale, così come descritta, potrà contribuire realmente al miglioramento delle cure e del sistema sanitario solo se insita nell’agire del professionista.

Dott. TSRM specialista in Aspetti legali, forensi ed assicurativi delle professioni sanitarie specialista in Rischio clinico in sanità

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