L’incidenza dell’alimentazione sulla buona o cattiva salute e l’aumento esponenziale di alcuni fenomeni, quali l’obesità e i disordini alimentari in genere, ha prodotto rapidamente l’intensificarsi degli studi sul rapporto psiche-cibo, con la conseguente richiesta sempre più pressante di interventi psicologici centrati sul comportamento alimentare. Il cibo ha una forte valenza psicologica e comportamentale ed è per questo motivo che negli ultimi decenni alcuni psicologi, ora anche in Italia, se ne occupano nella loro pratica professionale. Alcune stime affermano che oltre il 50% della popolazione adulta, il 40% degli adolescenti e ben il 25% dei bambini di età scolare manifesta comportamento alimentare disfunzionale, spesso legato inconsciamente a comportamenti involontari, a stereotipi e automatismi che conducono inesorabilmente a un aumento di peso corporeo, fino al sovrappeso e all’obesità.
La condizione di sovrappeso o di obesità, oltre che creare problemi all’immagine dell’Io della persona, procurando disagio psicologico, calo di autostima, forti limitazioni nelle relazioni sociali e persino difficoltà nel reperire capi di abbigliamento adeguati, espone la stessa a svariati rischi quali: morte improvvisa, malattie cardiovascolari, infiammazione cronica, artrosi, patologie autoimmuni, diabete, ipertensione, danni irreversibili ad organi e/o apparati, nonché alcune forme di neoplasie. Ciò nonostante in Italia manca nella pratica sanitaria la consapevolezza del fatto che il vero problema risiede nel generare nelle persone, a partire dall’età scolare, forme di apprendimento trasformativo in grado di consentire la modificazione profonda del comportamento alimentare.
Gli studi di psicologia dell’alimentazione e di pedagogia trasformativa hanno evidenziato che l’obesità è sempre sostenuta da comportamenti alimentari scorretti e inconsapevoli , che sfociano nella “fame nervosa” o “fame emotiva”: è per questo motivo, la maggior parte delle persone obese o in sovrappeso ricorrono alle cosiddette “diete”. Purtroppo la quasi totalità delle persone ( sia adulti, sia bambini) che seguono una dieta, dopo poco tempo riprendono il peso iniziale (effetto yo-yo). Infatti il vero problema non è tanto quello di mettersi a dieta restrittiva e di attuare controllo ossessivo delle calorie ma quello di operare una rivoluzione copernicana nel proprio stile di vita correlato al comportamento alimentare, e rivalutare il rapporto emotivo che la persona ha con il cibo.
Mi è capitato, specie nell’ultimo ventennio, d’incontrare nella mia pratica professionale persone che hanno difficoltà nel rapporto con l’alimentazione e con il peso corporeo. Ho potuto rilevare come la parte più complicata del lavoro dello psicologo fosse quella di fare abbandonare al paziente l’idea radicata dei divieti alimentari e delle esclusioni assolute di alcuni nutrienti dalla routine alimentare.
Avere una storia di sovrappeso spesso espone la persona alla diversità, a non potere stare a tavola a proprio agio e stare male al solo pensiero di aver voglia di mangiare. Interi anni passati a sperimentare diete d’ogni genere, spesso più legate alle mode del momento che alla fisiologia umana e alla biochimica.
Le diete quasi sempre producono risultati assai deludenti che si concretizzano, sul piano psicologico, in calo dell’autostima , spesso associato a forme depressive sostenute dalle continue oscillazioni di peso e le conseguenti frustrazioni; esse finiscono per creare un rapporto ambiguo con il cibo, caratterizzato dal trinomio: forti restrizioni- grande abbuffate ed eccessi alimentari e conseguenti sensi di colpa. I sensi di colpa a loro volta producono altri scompensi psicologici che portano inevitabilmente a consumare cibo a dismisura, creando un circolo vizioso, una trappola da dove è difficile uscire. Le diete, tranne quando prescritte per patologia, servono poco; lo afferma anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Del resto, il solo fatto che esistono tante diete la dice lunga sulla loro effettiva efficacia a lungo termine.
Quando mangiamo non ingeriamo solo nutrienti ma anche sapori, colori, sensazioni olfattive e tattili. Il cibo, infatti, diviene un “mediatore” tra la necessità di nutrirsi e il bisogno di appagamento sensoriale; per questo motivo esso andrebbe assunto con consapevolezza. Tutto ciò può avvenire soltanto attraverso la conoscenza e l’osservanza di alcune tecniche psicoeducative complementari, centrate sulla modificazione del comportamento alimentare.
Per raggiungere l’obiettivo di cambiamento del rapporto col cibo oggi la ricerca psicologica ha messo a punto nuovi strumenti e strategie che puntano a rendere la persona consapevole del modo come si alimenta. Il termine consapevolezza assume quindi un ruolo centrale nel progetto di rieducazione alimentare; esso consiste nel conoscere perfettamente le caratteristiche di ciò che stiamo per mangiare, godere con tutti i nostri sensi dell’esperienza del cibo e di conseguenza avere un rapporto più autentico e sano con l’alimentazione.
Mindful Eating (mangiare consapevole) è un approccio psicologico ed educativo innovativo al cibo, il primo in assoluto a livello mondiale a non prescrivere cosa mangiare e cosa non mangiare, e che agisce efficacemente sul modo in cui ci relazioniamo con la nostra alimentazione.
Il percorso formativo da destinare alla persona s’ispira alle tecniche del Mindful Eating, proposte dalla pediatra e maestra Zen statunitense Jan Chozen ; si tratta di un protocollo che prevede una diecina d’incontri con lo psicologo esperto in cure complementari e nelle tecniche della mindfulness. Il percorso insegna alla persona ad essere sensibile e responsabile nei confronti del suo corpo, compresi i sensi, ed a riconoscere i segnali di fame e sazietà, le emozioni e pensieri associati al cibo. Il mindful Eating si basa soprattutto su esercizi di meditazione mindfulness, pratica millenaria di derivazione Zen, che è stata riformulata in un protocollo applicativo ideato alcuni decenni addietro dal biologo molecolare statunitense Kabat Zinn e ora è largamente diffusa e praticata in occidente, applicata sia in clinica sia in educazione.
Le tecniche contemplative del mindful eating sono in grado di attivare nella persona un processo auto-educativo che induce la capacità di portare l’attenzione al momento presente, ossia in quello che si fa in un determinato momento: si acquisisce la capacità di concentrarsi su cibo e sulle varie sensorialità e cenestesie ad esso collegate. Si viene a determinare una condizione trasformativa, volta al raggiungimento della consapevolezza di sé e della realtà nel momento presente
In pratica, il percorso del mindful eating insegna alla persona ad auto-valutare la qualità e la quantità del cibo che assume, facendogli acquisire nuova consapevolezza del proprio comportamento alimentare ed in particolare a comprendere la distinzione tra gli aspetti psicologici dell’esperienza emotiva e gli stimoli della fame e della sazietà (esistono vari tipi di fame: fame degli occhi, fame dell’olfatto, fame dello stomaco, fame della testa, fame delle cellule. La consapevolezza acquisita libererà la persona dal peso delle diete grammate in quanto acquisirà via via, la capacità di ingerire la giusta razione. Preciso che il concetto di “giusta razione” è presente nell’uomo alla nascita e viene mantenuto fino a quando il bambino non viene stimolato dall’ambiente familiare o scolastico ad attribuire al cibo altre valenze compensatorie che non hanno nulla a che vedere con il nutrirsi. Il bambino, nei primi anni di vita, sa bene quando smettere d’assumere cibo e ogni sollecitazione esterna tendente a stimolarne l’ulteriore assunzione risulta assolutamente vana. Lo stesso accade con gli animali: mangiano per sopperire ala fame cellulare e non certo per sodisfare altre sensorialità.
Durante il percorso di mindful eating la persona impara a percepire la necessità di condurre uno stile di vita sano che comprenda il movimento, la sana ed equilibrata alimentazione, una maggiore percezione del sé e una soddisfacente dimensione emozionale e sociale per affrontare al meglio gli impegni e le sfide quotidiane. Il coaching, integrato alle tecniche di mindful eating, insegna ad ascoltare il proprio corpo e a comprenderne i bisogni, fa crescere la consapevolezza, aumenta il livello di responsabilità personale nella gestione della propria salute e nel mantenere i buoni propositi; la sua pratica, quindi, per le sue intrinseche potenzialità formative è da ritenersi un eccellente metodo che va oltre le azioni di educazione alla salute e promozione del benessere.
Uno degli strumenti fondamentale del coaching, e che prescinde del suo abito di applicazione, è quello della definizione degli obiettivi da raggiungere lungo il percorso. Per stabilire gli obiettivi di sviluppo il professionista deve prestare attenzione a due aspetti:
- Dove la persona si trova attualmente con il suo comportamento alimentare
- La posizione desiderata che vuole raggiungere (l’obiettivo).
Un processo semplice per l’identificazione di obiettivi a breve termine comprende i seguenti fissare obiettivi specifici per migliorare il rapporto col cibo
- impostare una scadenza per il raggiungimento di ogni obiettivo
- cercare di capire come s’intende raggiungere ogni obiettivo (piano d’azione)
- seguire i progressi e rivedere le realizzazioni
Nella pratica del coaching il soggetto auto-apprende e quando si realizza l’auto apprendimento si innescano condizioni metacognitivi che rendono verosimilmente più facile la trasformazione stabile del comportamento. In pratica si viene a determinare un apprendimento di tipo trasformativo. Personalmente seguo il seguente protocollo, liberamente ispirato alle tecniche suggerite da Jan Chozen, concedendomi alcune varianti acquisite nel corso degli anni di applicazione del metodo.
Imparare a distinguere i vari tipi di fame:
- fame degli occhi
– fame del gusto
- fame dell’olfatto
- fame dell’udito
- fame della testa
- fame dello stomaco
- fame cellulare
Imparare a riconoscere il rapporto tra cibo ed emozioni:
– rapporto tra cibo e stati emotivi
– riconoscere gli automatismi durante il pasto: ingoiare velocemente il cibo
– controllo della velocità e disattenzione durante i pasti
– ‘ascolto dei segnali psicocorporei : la “giusta razione”
Apprendere a costruire il proprio piano alimentare:
– tenere quotidianamente un diario alimentare
– prendersi la responsabilità delle proprie scelte
– Non sentirsi a “dieta” ma accedere a nuovi stili di vita
Apprendere il consumo consapevole del cibo:
– imparare a leggere le etichette sui cibi
– fare la spesa consapevolezza e riconoscere il cibo-spazzatura
– imparare a riconoscere la natura dei nutrienti
– trasformare le abitudini conoscendo le caratteristiche del cibo
– percepire il cibo come un alleato e non come un nemico
– praticare ogni giorno la meditazione mindfulness e la di visualizzazione
– imparare a cucinare ricette gustose e salutari
L’esercizio del mindful eating, per essere efficace, deve tuttavia essere integrato con un protocollo di leggera e graduale attività motoria da fare realizzare quotidianamente al soggetto, facendola rientrare, senza troppa enfasi, tra le cose che deve quotidianamente fare. Ovviamente non deve mancare in questa fase un costante sostegno psicologico, avente come obiettivo quello di agevolare, anche attraverso tecniche di visualizzazione guidata integrata alla meditazione, la ricostruzione di una corretta immagine dell’Io, con conseguente recupero dei comportamenti e degli atteggiamenti auto svalutativi e con il recupero dell’autostima.
Bibliografia:
Jean Choazen Bays, Mindful eating, Ed. Enrico Damiani, 2018
Mark Williams; Daniel Penman, Metodo Mindfulness, Ed Mondadori 2011
MaxwellMaltz, Psicocibernetica, Ed Astrolabio 1965
Dede Riva, Meditazione per la nuova era, Ed. Mediterrnee 1996
Robert Dilts, Il manuale del coach, Unicomunicazione 2004
*Psicologo