Ricordate il decreto Calabria varato nell’estate del 2019, alla vigilia della pandemia (ministro della Salute Giulia Grillo) per fronteggiare, tra l’altro, la carenza di camici bianchi diventata acuta nella regione con il più basso valore attribuito ai Lea (Livelli essenziali di assistenza)? Una norma che segnò, tra le altre misure, la possibilità di assumere medici in formazione specialistica al penultimo e ultimo anno di corso (in Italia retribuito). A partire da luglio 2019 (e fino al 31 dicembre 2022) le aziende ospedaliere del sistema sanitario nazionale possono pertanto assumere assumere medici specializzandi durante gli anni di formazione specialistica (a partire dal terzo anno in poi), con contratto subordinato a tempo determinato e orario a tempo parziale.
Ebbene oggi quella stessa regione commissariata per decisione del presidente Roberto Occhiuto (sub commissario il campano Ernesto Esposito) hanno deciso di assumere circa 500 medici extracomunitari, cubani, per colmare le carenze. Una decisione che ha sollevato un vespaio di polemiche tra addetti ai lavori e cultori della materia, iniziato sotto gli ombrelloni di questa torrida estate e i cui echi sono ancora presenti ora, al rientro negli uffici degli assessorati alla Sanità e degli Ordini professionali di mezza Italia.
ACCORDO DI COOPERAZIONE PER LA FORNITURA DI SERVICI MEDICI E SANITARI
LA DIFESA
Dal canto suo Occhiuto si è difeso a spada tratta: “Assumere i Medici cubani – ha dichiarato il governatore della Calabria – è stato l’unico modo per non chiudere gli ospedali della Calabria e fronteggiare un’emergenza strutturale a fronte di concorsi per assumere camici bianchi andati deserti”.
Uno scenario che del resto, per alcune discipline, come emergenza e pronto soccorso, impiegate sulle ambulanze del 118 e nelle prime linee degli ospedali, è comune a tutte le regioni e grandi città.
L’ACCORDO
Ma andiamo con ordine:
. L’inizio del lavoro in corsia è fissato per i primi di settembre. Poco meno di 5 mila euro mensili lo stipendio netto assicurato ai dottori che presidieranno soprattutto le aree dell’urgenza e del pronto soccorso dove la mancanza di camici bianchi comporta turni massacranti talvolta con un solo sanitario per ogni ciclo di lavoro e il rischiamo da altre discipline di medici specializzati in discipline equipollenti dal punto di vista legale ma che poco hanno a che fare con l’emergenza. L’ospedale di Polistena, Rossano, Corigliano le strutture da ripopolare.
ll problema del reclutamento dei medici come abbiamo detto non è solo calabrese ma comune a tutte le Regioni d’Italia. Non ci sono medici specializzati a sufficienza, l’accesso ai concorsi avviene solo dopo gli anni della specializzazione, vige il numero chiuso a medicina ma intanto si assumono medici da altre aree del globo dove non ci sono vincoli alla formazione. Una forma di lavoro somministrato più volte bocciato peraltro laddove vi si è fatto ricorso in altre Asl.
Se a questo si aggiunge che queste aree disciplinari sono molto poco attraenti con paghe inadeguate, stress e responsabilità ai massimi livelli, impossibilità di espletare attività privata, vita familiare cancellata e aggressioni continue, ecco che il cerchio viene chiuso. Anche gli specializzandi al terzo anno peraltro sono un serbatoio esaurito e comunque rivelatosi insufficiente. “Anche in Lombardia e in Piemonte – aggiunge il sub commissario Esposito – durante le prime fai dell’emergenza pandemica sono arrivati medici cubani. La scuola cubana è di altissimo livello. La Calabria è in condizioni di strutturale emergenza dovuta a 12 anni di commissariamento. In pratica abbiamo fatto la stessa cosa che le Regioni del Nord hanno fatto in un’altra emergenza. E utilizzeremo questo sistema fino a quando non si riusciranno a coprire, a tempo indeterminato, i posti vacanti negli ospedali. Mi sembra una cosa semplicissima”.
LA PAGA
Ogni medico cubano costerà 4.700 euro al mese a fronte di una spesa per i dottori italiani di 6.700 euro. L’accordo di cooperazione è triennale (vedi allegato) rinnovabile e i contratti a tempo determinato saranno prorogati fino alla fine dell’emergenza. Intanto si proseguirà sulla strada dei concorsi per italiani e calabresi ben sapendo che sono pochi e poco disposti a lavorare in prima linea nonostante gli incentivi che la Regione Calabria intende mettere sul piatto. A proposito, quanto bisogna attendere per avere una norma di rango nazionale capace di invertire la rotta della fuga dei camici bianchi?
IL DIBATITTO
Fatto sta che la decisione della Regione Calabria di ricorrere ai medici cubani per colmare i vuoti nei reparti solleva una serie di interrogativi e perplessità sulla disponibilità di dottori in Italia, sulla formazione e il reclutamento e sugli stessi contratti. Discorso che si allarga anche ad altri profili e professioni sanitarie impiegate in prima linea e di cui c’è cronica carenza (sulle ambulanze mancano anche infermieri e autisti e nelle emo dinamiche e unità di radiologia, centinaia di profili tecnici).
Copertura dei posti disponibili nel settore pubblico, adeguatezza delle risorse finanziarie a disposizione e il rapporto tra formazione dei medici e il loro (più o meno) rapido impiego nelle unità operative di varie discipline specialistiche ormai all’osso sono oggi i nodi al pettine.
I NUMERI
Ma andiamo ai numeri: le stime ci dicono che, entro il 2030, mancheranno in Italia circa 24mila medici, 10.173 specialisti in meno già nel 2023. Un dato mitigato dalla media nei paesi Ue: Eurostat 2020 dice che l’Italia è il secondo Paese con più medici in assoluto in Europa (sono circa 240mila ma nel 2017 solo 104.979 con assunzione definitiva nel servizio sanitario nazionale fra Asl, aziende ospedaliere ed universitarie, Irccs, Ares (Agenzia regionale sanitaria) ed Estav) su un totale di 1,7 milioni contati nei 27 Paesi membri. Sono più numerosi solo in Germania (357mila) mentre ne hanno di meno la Francia (212mila) e la Spagna (188mila). A tradurre tutto questo nel rapporto tra medici e 100 mila residenti si scopre che nel nostro Paese in quell’anno avevamo una media di 397 dottori ogni 100mila abitanti secondo Eurostat nel 2014 saliti poi a 405 ogni 100mila nel 2019. Nel dettaglio a dicembre 2021 in Calabria risultavano 388 medici ogni 100mila abitanti contro i 372 su 100mila in Lombardia, 345 su 100mila in Veneto e 390 su 100mia abitanti della Campania.
L’anomalia italiana è semmai nell’eccessivo perso del settore privato che raramente partecipa alle reti dell’emergenza e urgenza dove nel 2017 sono sono stati contati 12.255 medici impiegati nelle strutture equiparate al pubblico, 24.213 medici nelle case di cura convenzionate e 3.326 medici nelle case di cura non convenzionate. In totale si parla di 39.794 professionisti operativi nel settore privato pari a oltre un terzo di quelli assunti nel pubblico sebbene in teoria la funzione è tutta pubblica. Vi è poi da capire quella restante quota di circa 50 mila medici che lavorano come convenzionati e sui territori da autonomi e specialisti che apporta diano alla causa della sanità pubblica.
I NODI DELL’ITALIA
Il nodo da sciogliere dunque è semmai nel rapporto tra pubblico e privato e nella attrattività di alcune discipline (soprattutto nell’emergenza e urgenza) rispetto ad altre. Non solo: tutte le regioni che hanno sopportato e sopportano (quasi tutte al Sud) piani di rientro e commissariamenti (spesso conseguenti alla sottostima del fabbisogno e dall’iniquo riparto del fondo sanitario nazionale) sono vincolate al rispetto della tagliola dei tetti di spesa per le assunzioni che impongono alle Regioni uno sconto dell’1,4 per cento rispetto alla spesa di 18 anni fa (del 2004).
C’è poi la forbice strutturale che divide la quota di medici formati nelle scuole di specializzazione ogni anno (circa 6 mila) e le assunzioni (poco più della metà circa) nel servizio sanitario nazionale a fronte dei pensionamenti e uscite verso il privato che superano di mille i nuovi ingressi. In pratica ai 7 mila pensionati corrispondono circa 3mila-4mila ingressi nel Ssn ogni anno mentre si allarga la fetta di assunzioni nel settore privato ai vari livelli. Oggi ai giovani poco interessano il prestigio e la carriera e le nuove leve di dottori pensano soprattutto al portafoglio e alla remunerazione dopo lunghi anni di studio.
Al netto dunque delle assunzioni straordinarie avvenute durante la pandemia (circa 30 mila di cui molte a tempo determinato), pesa lo squilibrio del sistema e la mancanza di un piano organico studiato nei dettagli con adeguamenti contrattuali per calcolare i fabbisogni. Sono in molti oggi a pensare che l’imbuto formativo – denunciato da anni dall’Anaao, per cui per molti laureati in medicina trovano la strada sbarrata al percorso di specializzazione remunerato con le borse di studio pubbliche – debba essere superato dalla laurea abilitante e dalla formazione sul campo, anche da volontari come si faceva un tempo.
LA FORMAZIONE
Di certo, sul fronte della formazione, solo negli ultimi anni c’è stata un’inversione di tendenza e si è passati dalle 6-7mila borse l’anno alle 13.400 del 2020 e alle oltre 18mila del 2021. In futuro il Pnrr prevede in media 12mila borse l’anno per i laureati in Medicina. Ma per inserirli nelle corsie bisogna aspettare che si specializzino e quindi 4-5 anni dall’inizio del corso.
I SINDACATI
Ora con i medici cubani assunti in Calabria si è creato un corto circuito con tutti i sindacati della dirigenza medica che in questi anni hanno spinto per una riforma della formazione e dell’accesso alla professione. “In Calabria c’è un mini-esercito – scrive l’Anaao – di 669 specializzandi tra cui 73 anestesisti rianimatori, dieci cardiochirurghi e 10 interventisti d’urgenza pronti a dare una mano.
«Che la carenza di medici fosse ormai un’emergenza nazionale è cosa nota a tutti, che i nostri eccellenti giovani colleghi non siano più attratti dal mercato del lavoro nazionale, né pubblico né privato, ormai lo sanno anche i meno informati. Sembra però che nessuno abbia il coraggio di risolvere la questione». E’ quanto sottolinea in una nota Benedetto Magliozzi, segretario generale della Cisl Medici. «Noi avevamo suggerito da qualche anno – dice – di far rientrare dal quarto anno gli studenti italiani che non avevano avuto la possibilità di studiare in patria, in modo da permettere loro di terminare qui gli studi e inserirli prontamente nel sistema salute. Così come avevamo denunciato che la politica dei blocchi contrattuali col tempo avrebbe reso poco gratificante il posto pubblico. Ma la fantasia dei presidenti di regione supera ogni limite: apriamo gli ospedali ai medici cubani.
Senza nulla togliere ai colleghi non solo di Cuba ma di ogni altro Paese, come faranno gli organi preposti, ad esaminare curriculum, percorso di studi e conoscenza della lingua italiana? In che forma contrattuale verranno inquadrati questi medici? Tutte domande lecite – sostiene il sindacalista – visto che la delicata professione medica è normata in maniera puntuale e precisa al fine di garantire l’altissima qualità dei professionisti che la esercitano. Siamo oltre l’emergenza, siamo all’improvvisazione». «Ogni territorio, in dispregio a norme e leggi, va a ruota libera e certamente la campagna elettorale spinge la fantasia oltre ogni ragionevole decenza.
Abbiamo come Cisl Medici – ricorda – denunciato l’abuso al lavoro somministrato per la dirigenza sanitaria, qualche regione ha provveduto a fermare questi abusi, ma altre continuano in questa deregulation che fa da sponda al cosiddetto federalismo fiscale e al regionalismo differenziato che secondo noi darà il colpo di grazia al sistema sanitario nazionale. Ora la misura è colma, si convochino immediatamente tutti i tavoli di trattativa sindacale e si mettano in campo serie politiche salariali sulla dirigenza medica e sanitaria, si mettano in condizione di lavorare in maniera sicura e gratificante i medici e i sanitari di questo Paese, si torni ad essere uno stato di diritto dove ogni individuo e ogni medico siano curati e lavorino con la dignità sancita dalla nostra Carta costituzionale», conclude Migliozzi.
Per la Federazione CIMO-FESMED trattasi di “somministrazione” illecita o irregolare di manodopera, oggetto di contenzioso in via giudiziaria.
«Se in Italia ogni diplomato per diventare medico deve aver superato l’accesso alla Facoltà di medicina e chirurgia, essere abilitato all’esercizio della professione, essere iscritto all’Ordine Professionale e, in caso di aspirazione ad accedere al Ssn, concorrere per un posto alla scuola di specializzazione, ecco che per ovviare alla mancata programmazione nazionale di medici specialisti, la regione Calabria con un semplice “colpo di spugna”, rimedia 497 medici cubani, attraverso un accordo di cooperazione con una società commerciale con capitale totalmente cubano, per la fornitura di medici e sanitari”. Questo è il primo commento del Presidente della Federazione CIMO-FESMED aderente a CIDA.
In sintesi, i medici cubani avranno un rimborso per le spese di trasferta di 1.200 euro/mese e saranno pagati 20,20 euro/ora per assicurare 40 ore di lavoro a settimana dal lunedì al venerdì. Rincara il Presidente Quici: «Al di là della facile battuta che vedrebbe, a questo punto, i medici dipendenti italiani garantire i turni festivi e pre festivi, ciò che colpisce è l’estrema superficialità della regione Calabria nell’aggirare quelle norme e leggi cui, a quanto sembra, solo i cittadini ed i lavoratori italiani sono obbligati a rispettare».
Per la Federazione, che ricomprende ANPO-ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED, si tratta di somministrazione di manodopera a tutti gli effetti perché non sono previsti contratti professionali individuali e in forma scritta con i singoli medici specialisti ma un accordo siglato dalla regione con un intermediario.
Non sono pagati direttamente i medici che prestano lavoro ma chi li procura. Si ravvisa, pertanto, l’ipotesi di somministrazione illecita o irregolare di manodopera, rispetto alla quale la Federazione CIMO-FESMED sta valutando la via giudiziale da intraprendere.
Ad intervenire nel dibattito anche il presidente dell’Odine dei medici di Napoli Bruno Zuccarelli che bolla come “anarchia” il caso Calabria. «Il “caso Calabria”, con l’onda d’urto delle polemiche seguite alla decisione del governatore Roberto Occhiuto di contrattualizzare 497 medici cubani per
sopperire alla carenza di camici bianchi, rischia di non restare isolato, ma di essere presto affiancato da un “caso Campania, Puglia, Basilicata”.
Secondo Zuccarelli «si confonde l’autonomia con l’anarchia, rischiamo di perdere ogni certezza sul diritto costituzionalmente garantito alla
salute».
Un monito che Zuccarelli rivolge ai politici: «Se la politica avverte – non mette in campo interventi strutturati e strutturali, oltre ad una programmazione di medio e lungo termine, molto presto potremmo assistere ad un caso Campania, Puglia, Basilicata e arrivare al caso Italia”. Per Zuccarelli il tema non riguarda la “nazionalità dello squadrone” di medici
chiamati in Calabria, ma l’affermazione di un principio di assoluta anarchia nell’esercizio della professione, e dunque la perdita di garanzie per i cittadini. “Si crea in questo modo – riflette il presidente dei medici napoletani – un doppio canale di assistenza, nel quale medici italiani sono soggetti alla valutazione e alle prescrizioni dettate dagli Ordini, mentre
altri colleghi stranieri no”. Zuccarelli ritiene poi “un grave errore non sfruttare le possibilità messe a disposizione dalle normative, che consentono
di rafforzare il sistema attingendo agli specializzandi oltre il terzo anno che di certo potrebbero riuscire a districarsi nell’assistenza in tempi ben più rapidi e meglio di colleghi catapultati in una realtà per loro del tutto aliena, costretti a superare impervi scogli linguistici e culturali”.
Pur non entrando nel merito della decisione assunta dal governatore Roberto Occhiuto, Zuccarelli ricorda che “abbiamo tante risorse formate e competenti, sarebbe un grave errore sprecare anni di formazione immettendo nel sistema sanitario professionisti stranieri”. La colpa di tutto ricade sulla classe dirigente: “In nessuno dei programmi elettorali presentati sino a qui – rileva Zuccarelli – si può trovare un piano convincente e concretamente attuabile di rincaro del sistema sanitario. In realtà non si va mai oltre qualche accenno alla salute, in forma generica, quasi come se la pandemia non ci avesse insegnato nulla. Se non si rende attrattiva la professione non si riuscirà a risolvere il problema. Con questi presupposti – conclude – non capisco come
il prossimo governo possa dare risposta a questi problemi, e spero che i cittadini assumano decisioni forti in chiave elettorale, pretendendo dai propri rappresentati attenzione al tema».
LA LETTERA
Per concludere c’è la lettera scritta il 20 agosto dai presidenti degli Ordini dei medici Presidenti degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri della Calabra Vincenzo Ciconte (Catanzaro), Enrico Ciliberto (Crotone), Eugenio Corcioni (Cosenza), Antonio Maglia (Vibo Valentia) e Pasquale Veneziano (Reggio Calabria) che, rivolti al presidente Occhiuto, ribadendo il ruolo degli ordini quali organi sussidiari dello Stato al fine di tutelare gli interessi pubblici,garantiti dall’ordinamento, connessi all’esercizio professionale e in considerazione degli aspetti emergenziali generali relativi alle carenze di personale sanitario e all’intera questione attinente al potenziamento dell’offerta sanitaria ritengono sia “necessario che ogni professionalità sanitaria attualmente operante nelle nostre strutture, ad ogni livello di impegno e ruolo, venga realmente incentivato, nel rispetto delle norme italiane ed europee vigenti, a poter fornire un contributo supplementare volontario, teso al raggiungimento degli obiettivi di assistenza sanitaria poste dalla Regione Calabria” auspicando un’interlocuzione propositiva permanente tra Regione ed Ordini su temi sanitari di tale rilevanza”.
Nel merito della decisione assunta dal Presidente della Regione Calabria, riguardante l’accordo per il reclutamento di circa 500 medici Cubani, in deroga alle procedure consuete, esprimono “forti perplessità sulle garanzie di qualità nell’assistenza che verrà fornita da questi operatori sanitari stranieri. La norma che si cita, riguardante una deroga temporanea alle procedure consuete (in vigore fino al 31 dicembre prossimo) che sono richieste per il riconoscimento dei titoli conseguiti in paesi stranieri, non vuol dire che tale riconoscimento non è necessario, ma soltanto che detta norma sposta l’onere di effettuarlo dal Ministero alle Regioni.
In ogni caso, i titoli vanno rigorosamente verificati per poter esercitare la professione in Italia e in Calabria sempre con regole trasparenti e procedure certe, evitando il pericolo di sfociare nell’esercizio abusivo e, di fatto, di sfasciare l’intero sistema che regola l’esercizio di questa professione e che per il resto non è cambiato!. E’ solo il caso di ricordare che la conoscenza adeguata della lingua italiana, nell’esercizio di qualunque professione ed, a maggior ragione, nel campo dell’emergenza sanitaria (come precisa l’accordo firmato), è di importanza fondamentale: la mancanza, ma anche la sola insufficiente conoscenza di questo strumento essenziale di comunicazione, può risultare drammaticamente dannosa e ritardare o non individuare tempestivamente diagnosi e cure appropriate o, peggio, perdere vite umane anziché salvarle.
Così come è molto preoccupante l’inevitabile ignoranza riguardante le nostre pratiche di medicina legale (ad esempio: i referti che per legge è obbligatorio vengano redatti dal professionista che ha constatato il fatto, la certificazione formale della morte ecc.) da parte di colleghi stranieri, al pari di tante regole in materia sanitaria che il nostro sistema sanitario pone a tutela dei cittadini, che hanno il diritto di trovare competenza e non solo un pronto soccorso “aperto”.
Gli Ordini chiedono che vengano vagliate prima altre soluzioni e percorsi che tengano conto del coinvolgimento dei medici di continuità assistenziale, degli specializzandi (non solo dell’unica Facoltà di Medicina calabrese), dei medici in formazione per la medicina generale, dei medici in quiescenza, ecc. e soprattutto che si facciano reali ed attrattive manifestazioni di interesse nei confronti di nostri iscritti che lavorano in altre regioni d’Italia.
“A questo proposito, è necessario che si faccia anche una seria analisi sui motivi per i quali centinaia di medici, pur conservando la residenza in Calabria e l’iscrizione negli Ordini della nostra regione, hanno preferito le opportunità di lavoro offerte in altre regioni”.