martedì, 26 Settembre, 2023

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Lo stress e le emozioni: quanto possono influenzare la relazione di cura?

Già nel 1984 gli psicologi Lazarus e Folkman definirono lo stress un particolare tipo di rapporto tra la persona e l’ambiente che viene valutato dalla persona stessa come gravoso o superiore alle proprie risorse e minaccioso per il proprio stato di benessere. In effetti lo stress rappresenta la condizione innescata nell’organismo umano da parte di una sollecitazione esterna che comporta una serie di adattamenti che, se protratti nel tempo, possono assumere carattere di patologia se non trattata subito.

Ogni individuo possiede un diverso livello di resistenza al fenomeno, che a sua volta non è sempre e necessariamente negativo e dannoso. Esistono, infatti, due tipologie di stress, ovvero quello negativo, chiamato distress in quanto si verifica un’incongruenza fra richiesta da parte dell’ambiente e capacità del soggetto di esaudirle, e quello positivo denominato eustress, dove l’individuo riesce ad adattarsi con successo alle richieste dell’ambiente in quanto fonte di gratificazione e mantenendo anche una performance elevata.

Nel 1951 lo psicologo statunitense Karl Rogers definì la relazione assistenziale come una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità e un modo di agire più adeguato e integrato. In altre parole la relazione assistenziale cerca di favorire in una o in ambedue le parti una valorizzazione delle risorse personali e la loro espressione nell’ambiente esterno.

Si tratta di un tipo di relazione unica rispetto alle altre in quanto intenzionale, consapevole, controllata mediante le proprie capacità relazionali. Gli elementi centrali che caratterizzano la relazione d’aiuto sono il contatto psicologico, l’incongruenza, ovvero una condizione di discrepanza tra l’immagine di sé e l’esperienza reale sperimentata dal soggetto e la congruenza, ovvero la condizione in cui il soggetto si sente in grado di esprimere liberamente la propria opinione, la comprensione empatica, l’accettazione e la comunicazione.

Su cosa si basa, quindi, il fenomeno dello stress nella relazione assistenziale? Esso è costituito principalmente dall’intreccio dei servizi e dei processi terapeutici attuati da personale sanitario con le emozioni, le problematiche della soggettività umana, il dolore, l’incertezza, il timore della malattia e della morte sperimentati dal paziente.

Come si possono classificare i principali fattori dello stress infermieristico?
Tra i fattori intrinseci al lavoro vi sono i pericoli fisici, chimici, biologici, sovraccarico o sottocarico di lavoro, ritmo eccessivo, monotonia. Tra i fattori legati al ruolo nell’organizzazione troviamo la responsabilità per le persone, il conflitto e l’ambiguità di ruolo, la mancanza di controllo del proprio lavoro. I fattori inerenti i rapporti con gli altri e il clima organizzativo sono caratterizzati da relazioni personali insoddisfacenti, problemi di rapporti con colleghi, superiori, subordinati. I fattori carriera sono invece costituiti dalla percezione di uno sviluppo di carriera inadeguato, da una mancanza di sicurezza del posto di lavoro. Anche i fattori di interfaccia tra la vita privata e la vita lavorativa possono generare conflitto nel professionista infermiere.

Quali sono allora le conseguenze dello stress nel personale infermieristico?
Si riscontrano in maggior misura i disturbi fisici a cui l’infermiere può essere sottoposto: cefalee, ipertensione, ipercolesterolemia, alterazioni del sistema cardiovascolare, infezioni, malattie autoimmuni, infortuni e problemi all’apparato muscolo-scheletrico sono quelli più frequenti. Tra i disturbi della psiche vi sono le alterazioni dell’umore, il deterioramento dei rapporti familiari, i disturbi d’ansia, la depressione, l’assenteismo nonché alterazioni emotive come sensazione di inadeguatezza, insicurezza, carenza di stima, irritabilità. Anche lo stile di vita subisce delle modificazioni in quanto aumenta il consumo di tabagismo, l’abuso di alcool, la riduzione dell’attività fisica.

A livello organizzativo diversi studi hanno dimostrato che tra il 50% e il 60% di tutte le giornate lavorative la causa è da ricondurre allo stress. Ciò comporta costi enormi in termini di disagio personale, oltre al rischio di influenze negative sul bilancio economico dell’azienda sanitaria, in quanto il calo in termini di salute psicofisica dei lavoratori porta inevitabilmente anche al deterioramento delle prestazioni dell’intera organizzazione sanitaria. Questo aspetto è riscontrabile in alcuni indicatori quali l’aumento dell’assenteismo, l’aumento del tasso di turnover, del fenomeno del presenzialismo e la riduzione della produttività.

Nei pazienti, invece, le conseguenze dello stress infermieristico comportano un impatto psicologico negativo in quanto si avverte una minore sicurezza sul loro stato di salute, forti manifestazioni di stati d’ansia e depressioni che portano a un deterioramento delle condizioni cliniche generali. Possono anche verificarsi cambiamenti di atteggiamento nei confronti dei pazienti da parte del personale infermieristico, quali chiusura difensiva al dialogo, cinismo, spersonalizzazione nei rapporti, distacco emotivo e indifferenza ai problemi dell’altro, che possono manifestarsi dopo uno stress lavorativo prolungato.

L’incidenza dello stress nella professione infermieristica è risultata con i livelli più alti di stress e burnout rispetto ad altri professionisti in ambito sanitario. Diversi studi internazionali condotti negli ultimi anni, soprattutto in epoca Covid-19, hanno individuato che il fenomeno ha abbraccia dal 32,1% al 79% del personale infermieristico che ha rilevato medi e alti livelli di stress occupazionale oltre ad ansia, insonnia e depressione. Nonostante il fenomeno rappresenti un’area di notevole interesse per molti ricercatori, sono ancora pochi gli studi che hanno l’obiettivo di analizzare l’impatto di stress sulla relazione assistenziale poiché vi sono lacune in merito al campionamento dei lavori, alla portata degli studi e agli strumenti di rilevazione adottati.

Nonostante il limite degli studi, durante gli anni della pandemia è stato riscontrato come la relazione di cura sia stata messa a repentaglio dalla distanza e dalla solitudine causati dalla paura di infettarsi e dal distacco emotivo autoindotto dagli stessi infermieri come meccanismo di autodifesa e di protezione per evitare un sovraccarico emotivo dettato dall’eccessivo coinvolgimento. Pertanto è estremamente importante, oggi più che mai, per la salute dei professionisti imparare a identificare fattori stressogeni e la loro influenza sul lavoro per proteggere la loro salute e impedire l’aggravamento del proprio stato di stress, poiché l’infermiere dovrebbe essere preparato al confronto col disagio morale e con lo stress professionale. L’incremento delle attività di coping attraverso sessioni di apprendimento, l’utilizzo della scrittura riflessiva per favorire la rielaborazione delle emozioni vissute ed, infine, l’organizzazione di interventi educativi risultano essere strategie efficaci per il contenimento delle emozioni manifestate.

La creazione di comitati etici in ambito clinico e universitario che focalizzino l’attenzione sulla gestione dei casi di stress professionale nonché di centri di ricerca del disagio psicofisico fra il personale sanitario potrebbero essere degli ottimi spunti di partenza per prevenire l’aggravamento del fenomeno, rappresentando una soluzione parziale al problema dello stress. Tali possibili contributi potrebbero di fatto migliorare le condizioni di lavoro, ridurre il fenomeno dell’assenteismo da stress e di errori nel processo di cura, migliorare la qualità di cure e il bilancio economico dell’azienda sanitaria e, soprattutto, eliminare l’abbandono per problemi di natura emotiva della professione, piuttosto evidenti negli ultimi mesi. Sono però necessari, come detto, maggiori quantità di studi internazionali allo scopo di inquadrare meglio il fenomeno dello stress e la sua importanza nel processo di cura che coinvolga allo stesso tempo più realtà operative e un numero più elevato di professionisti.

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