L’epidemia da Coronavirus rischia di mettere in ombra problemi sanitari molto importanti. Uno è quello di garantire una precoce riabilitazione intensiva a pazienti con gravi disabilità insorte acutamente. L’istituto Auxologico Italiano ha nella sede di via Mercalli, Ospedale Capitanio, un Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative con 51 posti letto che accolgono pazienti con gravi menomazioni neuromotorie.
-Chiediamo al suo direttore, il prof. Luigi Tesio, Ordinario di Medicina Fisica e Riabilitativa alla Università Statale di Milano, come è stata gestita l’emergenza da questo punto di vista clinico.
Prof. Tesio, quali problemi affronta la riabilitazione in epoca Covid?
L’epidemia ha nascosto, ma non eliminato, condizioni acute che generano grave disabilità. Pensiamo a ictus cerebrali ischemici o emorragici, polinevriti, interventi neurochirurgici per tumori del sistema nervoso, politraumi.
Per questi pazienti la riabilitazione non è rinviabile: si rischiano esiti invalidanti evitabili e un maggiore rischio di mortalità, anche senza infezione da Coronavirus.
Si può fare riabilitazione su questi pazienti?
Si deve, e con la stessa qualità e intensità pre-Covid. Presentare positività al tampone senza sintomi non preclude affatto un percorso di riabilitazione neuromotoria e cognitiva. Questo impone di mantenere in piena efficienza un’ équipe multiprofessionale (medici, infermieri, fisioterapisti, logopedisti, terapisti occupazionali, neuropsicologi) organizzata intorno al paziente.
Ricoverate pazienti sia negativi che positivi al tampone?
Noi ricoveriamo attualmente soltanto pazienti che all’ingresso risultano potenzialmente non infettivi (Covid negativi) . Tuttavia i pazienti si possono positivizzare in seguito perché il periodo di incubazione silente può arrivare 2 settimane.
Quali problemi supplementari ha introdotto l’epidemia nel Suo Dipartimento?
Il primo è la necessità di creare percorsi separati per pazienti Covid negativi e Covid positivi: la positivizzazione, nella nostra esperienza di 6 settimane, è infrequente, ma impone comunque la separazione. Questo ha voluto dire creare due aree e due équipes distinte e vigilare più che mai sui sintomi. Bisogna eseguire tamponi almeno settimanali per monitorare la variazione da Covid positivi a Covid negativi e viceversa, e destinare il paziente all’area appropriata. Bisogna anche sapere subito quando trasferire rapidamente il paziente che diventi sintomatico presso la nostra sede centrale dedicata alla cura delle manifestazione respiratorie della malattia.
Il secondo problema è la necessità di particolare cautela nei trattamenti che sono in massima parte eseguiti a contatto fisico diretto fra operatori e pazienti particolarmente fragili.
Come ce l’ha fatta l’ Istituto Auxologico?
Siamo riusciti a creare tempestivamente aree e percorsi distinti. L’équipe si è prodotta generosamente e con coraggio: lo sdoppiamento richiede più risorse; l’assistenza richiede contatto stretto con il paziente. La positivizzazione e la complicazione respiratoria, nella nostra esperienza di 6 settimane, si sono rivelati eventi rari. I risultati riabilitativi sono rimasti elevati come sempre.
Che cosa si può fare di più?
Al momento la nostra sezione per pazienti Covid positivi ha dimensioni che ci consentono soltanto di trasferirvi i nostri pazienti che si positivizzano dopo il ricovero. Non abbiamo margine, se non in casi del tutto sporadici, per ammettere pazienti che siano positivi (anche se senza sintomi) già in fase acuta e che pure avrebbero bisogno di riabilitazione intensiva. Ma questo è un problema di programmazione regionale.