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Langya: il nuovo virus che viene dalla Cina

Dopo il Coronavirus e il Vaiolo delle scimmie, la notizia della scoperta di un altro virus sta facendo il giro del mondo. Si tratta del cosiddetto LangyaHenipavirus (LayV)

Dopo il Coronavirus e il Vaiolo delle scimmie, la notizia della scoperta di un altro virus sta facendo il giro del mondo. Si tratta del cosiddetto LangyaHenipavirus (LayV). Secondo il rapporto pubblicato sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine sarebbero 35 le persone già ammalate, soprattutto agricoltori, 26 delle quali contagiate nelle province di Shangdong e Henan in Cina. A descrivere la comparsa e la diffusione di questo virus, identificato nei tamponi faringei, sono stati gli studiosi cinesi e di Singapore.

Il LangyaHenipavirus

Il Langya appartiene alla famiglia degli Henipavirus, di cui fanno parte altri pericolosi patogeni capaci di infettare anche l’uomo. Gli Henipavirus, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno un tasso di mortalità compreso tra il 40 e il 75%. Si tratta di una zoonosi da tenere sotto controllo e per gli esperti già il fatto che il cluster sia venuto alla luce è un buon segnale. Il generale però, Henipavirus non è sconosciuto agli epidemiologi, poiché contiene altri due virus zoonotici già noti per causare malattie gravi e persino mortali in alcuni mammiferi, compresi gli esseri umani: il virus Nipah (NiV) e il virus Hendra (HeV), entrambi presenti naturalmente nei pipistrelli. Il LayV appartiene al gruppo dei Paramyxovirus o virus della rosalia. È un virus a RNA avvolto con un genoma di circa 18.000 nucleotidi e codifica sei proteine strutturali.

Il virus è probabilmente di origine animale. Nei test condotti, il virus è stato scoperto soprattutto nei toporagni, come riferiscono i ricercatori guidati da Wei Liu dell’Istituto di microbiologia ed epidemiologia di Pechino: in oltre un quarto (27%) di 262 toporagni testati è stata verificata la presenza del LayV, suggerendo che questi piccoli mammiferi possano essere il serbatoio naturale del virus. Sulla base di questi dati, anche per il virus Lanya si può quindi dedurre che la principale via di trasmissione del patogeno all’uomo si sia verificata attraverso l’esposizione ad animali infetti e i loro fluidi corporei, tessuti o escrezioni, il consumo di carni oppure di cibi contaminati. Il vicedirettore generale del CDC Chuang Jen-hsiang ha spiegato che il virus è stato rilevato durante le analisi sierologiche realizzate nel sangue del 5% dei cani analizzati e del 2% delle capre. Nell’uomo, il virus si manifesta solo sporadicamente. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere meglio l’agente patogeno e le malattie umane ad esso associate.

Come si trasmette

I paramyxovirus si trasmettono principalmente tramite goccioline o inalando aerosol contenenti urina. Secondo il rapporto, le infezioni da LayV si sono verificate soprattutto tra gli agricoltori che in precedenza erano stati a stretto contatto con gli animali. Non sono state trovate prove di trasmissione diretta da uomo a uomo. Secondo Chuang, i pazienti non erano in contatto tra loro e non avevano una storia comune di esposizione. Anche la trasmissione del virus all’interno delle famiglie non è nota. Finora ci si è occupati di trasmissioni puramente zoonotiche, cioè da animale a uomo. Tuttavia, la dimensione del campione fino ad ora esaminato è troppo piccola per fare affermazioni fondate su possibili trasmissioni da uomo a uomo.

I Sintomi più frequenti

Tutti i soggetti infettati da LayV hanno presentato febbre e i sintomi quali affaticamento (54%), tosse (50%) e dolori muscolari (46%). Sono stati segnalati anche perdita di appetito (50%), nausea (38%), vomito (35%) e mal di testa (35%). Inoltre, è stata osservata una diminuzione dei globuli bianchi in più della metà delle persone infette (54%) e anche il numero di piastrine nel sangue è risultato basso nel 35% delle persone colpite. In alcuni pazienti è stata riscontrata anche un’insufficienza epatica (35%) e un danno renale (8%).

La Pericolosità

Il Professore Wang Linfa della Duke-NUS Medical School e co-autore dello studio ha dichiarato al Global Times che i casi di LayV finora “non sono stati fatali o molto gravi” e che non c’è “bisogno di farsi prendere dal panico”. Non si può ancora dire quanto sia alta la letalità, cioè il numero di persone infette che muoiono a causa del virus. In un’intervista a RTL, Christoph Specht, noto medico e giornalista scientifico tedesco, ha espresso una valutazione simile della situazione. La situazione sarebbe critica in caso di una costante trasmissione da uomo a uomo. Tali casi non sono ancora noti. Anche se non è tutto impensabile. Il miglior esempio di rapido adattamento di un virus al corpo umano è il coronavirus. Il LangyaHenipavirus appartiene al gruppo dei paramyxovirus, che comprendono anche la parotite, il morbillo, il cimurro e il virus Nipah, spesso fatale”, dice Specht. A renderlo potenzialmente più pericoloso del Coronavirus sono i sintomi come l’insufficienza renale.

Gli Effetti dei cambiamenti climatici

Gli scienziati invitano a tenere la guardia alta di fronte ai virus. Un ulteriore avvertimento arriva da uno studio della University of Hawaii di Honolulu, pubblicato su Nature Climate Change. Le nuove condizioni climatiche a cui sta andando incontro la Terra aggraveranno del 58% l’impatto sugli esseri umani delle malattie infettive già note. I ricercatori hawaiani hanno scoperto oltre mille dinamiche attraverso cui i cambiamenti climatici possono favorire la diffusione nell’uomo degli agenti patogeni. Il riscaldamento e i cambiamenti nelle precipitazioni, per esempio, possono fare espandere vettori come le zanzare, le zecche, le pulci e quindi le infezioni da essi trasmesse. Inoltre, il riscaldamento a latitudini elevate consente sia ai vettori sia agli agenti patogeni di sopravvivere all’inverno, aggravando le epidemie nelle stagioni calde.

Le temperature elevate, la siccità e gli incendi possono distruggere l’habitat di diverse specie o renderlo inospitale e portare i patogeni più vicini all’uomo. Anche i temporali eccezionali possono portare al trabocco di acque reflue e alla trasmissione degli agenti infettivi che si vi sono contenuti. I ricercatori non hanno trascurato nemmeno le ipotesi più estreme quale quella dello scongelamento del permafrost (ovvero di quei terreni perennemente ghiacciati) che avvenendo potrebbe rimettere in circolo patogeni congelati da tempo. Un’eventualità che gli stessi ricercatori considerano «un vaso di Pandora» che potrebbe potenzialmente rimettere in circolazione un numero anche consistente di agenti patogeni anche del tutto sconosciuti al sistema immunitario umano.

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