E’ stata discussa in Senato, l’8 febbraio scorso, nella undicesima Commissione permanente su Lavoro pubblico e privato e previdenza sociale, la proposta di legge n. 2.347 per il riconoscimento del lavoro usurante alle professioni sanitarie (infermieri e Oss). Ad oggi rientrano soltanto tra i lavoratori sottoposti a lavori “gravosi”. Il riconoscimento del lavoro usurante consentirebbe ad infermieri e Oss di usufruire della pensione di anzianità con un minimo di 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi più la quota di 97,6 (dato dalla somma dell’età e dell’anzianità di servizio). Una sorta di quota cento con un piccolo sconto di mesi. La proposta di legge introduce modifiche al decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67, ai fini dell’introduzione del personale infermieristico e degli operatori socio-sanitari tra le categorie usuranti e vede la prima firma dei senatori Francesco Guidolin e Susy Matrisciano, presentata in Aula di palazzo Madama lo scorso 2 agosto 2021, annunciato nella seduta n. 354 del 3 agosto 2021.
La norma prevede tra le altre misure a tutela delle professioni sanitarie per infermieri e Operatori sociosanitari (per ora sono esclude dal novero gli altri professionisti delle 19 professioni sanitarie), la possibilità di accedere allo scivolo per il prepensionamento riconosciuto appunto ai lavoratori di impieghi usuranti.
Il disegno di Legge è composto di due articoli: con il primo si inseriscono infermieri e Oss tra le categorie che possono esercitare il diritto per l’accesso al trattamento pensionistico anticipato; con il secondo si provvede alla copertura finanziaria a valere sull’apposito fondo (previsto dall’articolo 1, comma 3, lettera f, della legge 24 dicembre 2007, n. 247).
“Il lavoro usurante dei colleghi infermieri – avverte Teresa Rea, presidente dell’Ordine degli Infermieri di Napoli – è un dato di fatto che in alcuni contesti aziendali è aggravato dalla carenza di personale, dai continui spostamenti e variazioni di mansioni, dai mancati riconoscimenti di carriera e professionali, dal demansionamento conseguente al dover tappare continui buchi organizzativi. Il lavoro degli infermieri è pieno di doveri e di pochissimi diritti. Almeno quello alla pensione dovrebbe essere tutelato”.
LO SCENARIO
In Italia lavorano come operatori socio-sanitari circa 330.000 persone; tale attività è parte integrante del sistema di servizi socio-sanitari pubblici, accreditati e privati. Sono invece circa 371.000 le persone che esercitano la professione infermieristica, la cui quasi totalità lavora nella sanità (il 98,9 per cento). La grande maggioranza degli infermieri (77,7 per cento) lavora nei servizi ospedalieri, costituendo circa il 40 per cento del totale degli occupati in tutte le professioni sanitarie. Ciò testimonia come gli stessi costituiscano la figura sociale, sia numericamente, sia funzionalmente, portante del sistema ospedaliero.
“Il lavoro quotidiano degli infermieri e degli operatori socio-sanitari (OSS) – si legge nel testo di presentazione della legge – garantisce, rispettivamente, un’assistenza specializzata e competente, nonché il sostegno alle famiglie ed ai cittadini colpiti da inabilità, è finalizzato ad assicurare un livello di vita dignitoso”.
GLI INFERMIERI
L’infermiere è un professionista sanitario che, con il suo campo proprio di attività, assiste, cura e si prende cura dell’assistito in maniera globale, instaurando con esso una relazione di fiducia. L’operatore socio-sanitario svolge una professione indirizzata a soddisfare i bisogni primari della persona, nell’ambito delle proprie aree di competenza, in un contesto sia sociale che sanitario per favorire il benessere e l’autonomia dell’utente.
Per entrambe le professioni, le cui attività sono svolte da lavoratrici e lavoratori, in ragione del progressivo processo di invecchiamento della popolazione, si registra una crescente richiesta di tali figure professionali, il cui lavoro, tuttavia, è caratterizzato da un forte grado di fatica fisica e stress psicologico.
LE STRUTTURE
In particolare con riferimento a queste due figure professionali, svolte nel contesto ospedaliero e nelle strutture di ospitalità e lungo degenza, residenze sanitarie assistite (RSA), hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per persone autosufficienti e non, a gestione pubblica o privata, nonché svolte nei centri semiresidenziali, a carattere socio-assistenziale, socio-educativo, polifunzionale, socio-occupazionale, sanitario e socio- sanitario per persone con disabilità, a gestione pubblica o privata, con lavoro organizzato in turni, si riscontrano carichi di lavoro molto pesanti e precarie e stressanti condizioni di lavoro. Ciò è imputabile alle varie organizzazioni, ai calcoli del fabbisogno di organico in relazione ai carichi di lavoro, spesso rivolti a conseguire una maggiore produttività a fronte di un taglio delle risorse umane. Dallo svolgimento di queste attività faticose e pesanti deriva, dunque, l’insorgenza di patologie e di disturbi cronici, in particolare, lo sviluppo di malattie muscolo- scheletriche, nonché la cosiddetto sindrome di «burnout», che incidono in maniera significativa sulla qualità della vita e sul benessere psico-fisico dell’individuo.
Il lavoro dell’infermiere e dell’operatore socio-sanitario, in tali contesti, si caratterizza non solo per il lavoro notturno ma anche per la costante presenza di fatiche fisiche e psichiche nell’espletamento delle attività.
L’AUDIZIONE
Al senato sono stati auditi la Fnopi, la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche e le tre organizzazioni sindacali confederali Cgil, Cisl e Uil. Alla luce della dura esperienza della pandemia e della cronica carenza di personale infermieristico (CREA la quantifica in più di 237 mila unità) l’esigenza di approvazione della norma è diventata acuta. Oltre ai turni massacranti, all’uso continuo delle tute e dei Dpi secondo le informazioni presentate dalla Fnopi sulla scorta di una indagine condotta da Cergas Bocconi, l’11,8% del personale di Asl e ospedali attualmente ha una inidoneità fisica che ne limita la mansione e il 7,8% inidoneità parziali permanenti. Senza contare lo stress correlato al lavoro nelle corsie Covid che incide (sindrome post traumatica da stress) per una percentuale tra il 30 e il 50%. Sempre per la Fnopi, va tenuto in conto il fenomeno delle aggressioni fisiche e verbali che coinvolge l’89% del personale infermieristico.
I SINDACATI
Da tutte le organizzazioni sindacali è stato sottolineato come, allo stato attuale, solo pochi professionisti infermieri riescono ad entrare nella categoria degli “usuranti” (almeno 6 ore di turno notturno per un minimo di 78 notti all’anno oppure 3 ore nella fascia dalla mezzanotte alle 5 del mattino nell’arco dell’anno).
La riforma della legge Fornero portata avanti dai confederali Cgil, Cisl e Uil c’è già il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori con una flessibilità diversa in uscita che dipende dalla mansione svolta in corsia. Il contesto in cui si inserisce il progetto di legge è quello della più generale riforma delle pensioni, interrotta il 3 febbraio scorso e che doveva riprendere con il confronto politico tra il Ministro del Lavoro Andrea Orlando e i sindacati per ora rimandato a data da destinarsi.
Su questo spinoso tema interviene anche l’Ugl Salute che sottolinea come riconoscere queste attività come lavoro usurante sia “un atto dovuto e di assoluta civiltà”. “Mi chiedo – avverte il Segretario nazionale Ugl Salute – cosa ostacoli un passo così importante verso categorie di professionisti costretti a svolgere la propria attività in condizioni critiche”.
Nei rapporti Inail, su malattie ed infortuni, gli operatori sanitari sono in testa nel numero di contagiati e deceduti. Organici carenti, turni massacranti, mancanza di riposo, ferie e permessi centellinati e mai goduti per un periodo lungo, scarse condizioni di sicurezza i nodi irrisolti delle due categorie professionali. “A questo proposito – prosegue il sindacalista – penso agli incidenti stradali che nei giorni scorsi hanno visto coinvolti alcuni equipaggi di ambulanze impegnati in servizio. Episodi di aggressioni fisiche e verbali sono sempre più frequenti così come lo stress psico-fisico a cui sono sottoposti i professionisti della salute. Un quadro drammatico spesso ignorato o sottovalutato.