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Il Problem Based Learning (PBL). Un Modello antico per problemi nuovi

La Pandemia in corso oltre ad avere posto nuove sfide riguardo ai problemi di salute e dei sistemi di cura ha anche modificato il modo di fare formazione in campo sanitario, facendo emergere la necessità di ricorrere sempre di più a metodologie didattiche innovative ed attive nei percorsi di Formazione delle Professioni sanitarie. Il personale sanitario di conseguenza, così come gli studenti dei Corsi di Laurea delle Professioni sanitarie si trovano a dover acquisire nuove competenze accanto a quelle tecnico – specialistiche, le cosiddette “competenze trasversali”: il pensiero critico, la capacità di prendere decisioni in modo indipendente, la capacità di mantenersi aggiornati lungo tutto l’arco della vita, la collaborazione efficace all’interno di un gruppo di lavoro, nonché l’utilizzo competente delle nuove tecnologie dell’informazione divenute oramai indispensabili per fronteggiare le sfide quotidiane della sanità.
Ma in uno scenario come quello che sta vivendo la Sanità del momento non si può certo pensare di acquisire nuove e più diversificate competenze senza riflettere dapprima sulla messa a punto di un modo diverso di intendere la formazione degli stessi professionisti della salute; è allora in questo ambito che si inserisce il Problem Based Learning (PBL), una metodica di apprendimento in cui piccoli gruppi di studenti, condotti da un docente, discutono un “problema” e cercano di risolverlo scrivendo l’avanzare del loro ragionamento; gli studenti sono attivi e protagonisti, mentre il docente li guida con domande e li osserva. Un metodo, quello del PBL, centrato sull’apprendimento, che privilegia la partecipazione attiva degli studenti, a fronte delle tradizionali lezioni universitarie durante le quali elevati numeri di studenti rimangono seduti e prendono appunti in maniera quasi passiva e con ridotte possibilità di interazione.
L’apprendimento basato sui problemi in piccoli gruppi o Problem Based Learning (PBL) è un metodo costituito da 3 fasi:

  1. Apertura del Problema
  2. Studio Indipendente
  3. Ritorno nel gruppo per sintetizzare quanto si è studiato
    Il PBL viene attuato utilizzando piccoli gruppi condotti da un tutor che funge da facilitatore e propone problemi realistici, ma incompleti; gli studenti discutono prima fra loro e, successivamente, ricercano al di fuori del gruppo le informazioni necessarie per risolvere il problema affrontato.

La Storia

La storia del PBL risale agli inizi degli anni ’70 a cura di un gruppo di docenti della Facoltà di Medicina di Mcmaster in Canada, guidato dal neurologo Howard Barrows, il quale era rimasto molto deluso dall’efficacia dei metodi tradizionali utilizzati nelle Facoltà universitarie, rilevando che gli studenti riuscivano ad apprendere moltissime nozioni scientifiche ma dimostravano numerose difficoltà nella loro applicazione.
Barrows si convinse che agli studenti di Medicina mancavano i legami tra le conoscenze dei problemi clinici e ipotizzò che, partendo dallo studio di casi clinici, gli studenti avrebbero integrato i contenuti disciplinari e che le strutture cognitive prodotte sarebbero state “centrate sul problema; in questo modo, gli studenti avrebbero imparato a ragionare come professionisti oltre ad acquisire anche una metodologia che avrebbe consentito loro di individuare i propri bisogni formativi. Il corpo docente quindi pianificò un nuovo curricolo per moduli interdisciplinari: gli studenti, suddivisi in piccoli gruppi condotti da un tutor, discutevano un caso clinico a settimana e studiavano in modo integrato le discipline precliniche e cliniche per poi sintetizzare ai propri compagni le nuove conoscenze apprese; vennero allestiti laboratori didattici, biblioteche, setting con pazienti simulati in modo che gli studenti potessero studiare in modo integrato e indipendente tra un incontro e l’altro. Dalla sperimentazione della McMaster University partì, negli anni ’70, l’introduzione del metodo in alcune facoltà di Medicina tra cui l’Università di New Mexico negli Stati Uniti, l’Università di Newcastle in Australia, ecc…., e successivamente altre università tra le quali la Harvard University adottarono questo metodo. Dalla Medicina il passaggio è stato graduale verso i corsi universitari per la formazione del personale sanitario, dei dentisti, dei veterinari, degli psicologi.

Sono stati molti, tra psicologi e studiosi che hanno cercato di fornire un fondamento teorico e concettuale al modello del PBL, giustificando come le sue caratteristiche siano rispondenti al nuovo modello ermeneutico del cognitivismo. Secondo Hencke Schmidt i principi dell’apprendimento cognitivo possono essere ridotti in 6 teoremi che egli dimostra attingendo a famosi esperimenti di psicologia dell’apprendimento; successivamente egli sostiene che questi principi sono riscontrabili nell’apprendimento per problemi:

Teorema 1. Le conoscenze pregresse che le persone hanno rispetto ad un argomento sono il determinante più importante sulla natura e sulla quantità delle nuove conoscenze che possono essere processate.
Teorema 2. La disponibilità di conoscenze pregresse rilevanti è una condizione necessaria ma non sufficiente per la comprensione e il ricordo di nuove informazioni.
Teorema 3. La conoscenza è strutturata: il modo in cui è strutturata nella memoria la rende più o meno accessibile per l’uso.
Teorema 4. L’archiviazione delle informazioni nella memoria e il loro recupero possono essere grandemente migliorati quando durante l’apprendimento avviene l’elaborazione del materiale.
Teorema 5. L’abilità ad attivare conoscenza nella memoria a lungo termine e a renderla disponibile per l’uso dipende da elementi di contesto.
Teorema 6. Essere motivati ad apprendere prolunga la quantità di tempo di studio e inoltre migliora il profitto.

  • Il PBL ha caratteristiche ben precise, che lo differenziano dallo studio dei casi, dalla lezione euristica e dall’apprendimento cooperativo:
  • Il Ruolo del Docente, che non è più quello di trasmettitore di conoscenze ma di facilitatore di apprendimento e che svolge essenzialmente le 4 funzioni di: tutor metacognitivo del gruppo, pianificatore del modulo, valutatore ed esperto dei contenuti disciplinari.
  • Il Problema che è di solito una descrizione neutrale di un evento o di un set di fenomeni che necessitano di spiegazione in termini di processi, principi o meccanismi sottostanti; conduce ad un’attività di problem solving, è formulato nel modo più concreto possibile e presenta un grado di complessità adattato alle conoscenze pregresse degli studenti.
  • I gruppi che di solito sono da costituiti 6 – 8 studenti, i quali partecipano attivamente alla discussione del problema sotto la guida del tutor, fanno un brainstorming iniziale, formulano ipotesi esplicative, individuano gli argomenti di studio, studiano in modo indipendente su testi di loro scelta o consigliati dai docenti in una specifica lista bibliografica, sintetizzano successivamente ai colleghi e valutano il processo di gruppo.
  • I 7 salti. Il tutor, dopo aver presentato il problema, guida gli studenti secondo la procedura dei 7 salti: per prima cosa si incontra il problema, senza che nessuna preparazione o studio siano avvenuti precedentemente; la situazione problematica è presentata allo studente nello stesso modo in cui si presenta nella realtà; lo studente lavora con il problema in un modo che gli permetta di ragionare e valutare le sue conoscenze; vengono identificate le aree di apprendimento necessarie per poter procedere nel lavoro e che fungono da guida per lo studio individuale. Per ogni salto il tutor pone domande specifiche per permettere di avanzare correttamente; nel primo incontro, della durata di circa 2 ore, si apre il problema e si procede dal salto 1 al salto 5; successivamente vi è il tempo per lo studio indipendente in biblioteca o sui testi per un periodo che può variare, secondo l’organizzazione curriculare, da 3 a 7 giorni. Il secondo incontro, necessario per sintetizzare le informazioni raccolte grazie allo studio indipendente, necessita di un’altra sessione di circa 1 ora.
  • Il setting formativo, in cui ogni piccolo gruppo di studenti si incontra con il suo tutor per analizzare e discutere il problema in una stanza in grado di ospitare un gruppo di 6 – 8 persone intorno ad un tavolo possibilmente tondo, avendo a disposizione una lavagna a fogli mobili. Gli studenti di solito discutono per circa 2 ore, poi si recano, per lo studio indipendente, in biblioteca o presso un’aula di informatica per ricerche in rete. Dopo aver studiato in modo indipendente e autodiretto, aver partecipato ai laboratori didattici, aver frequentato le attività pratiche previste, gli studenti sono pronti per tornare al secondo incontro di PBL, per sintetizzare quanto hanno studiato e chiudere così il problema. Le attività didattiche correlate al PBL sono quindi estremamente importanti per favorire un apprendimento integrato di competenze intellettive, relazionali e tecnico – gestuali.

L’apprendimento basato sui problemi funziona davvero?
I docenti e gli studiosi che hanno introdotto il PBL hanno condotto una serie di indagini per verificare l’efficacia e l’efficienza del PBL, confrontando, spesso, le prestazioni di laureati che, nello stesso Paese, hanno seguito curricula innovativi e tradizionali. Vi sono studi sulle differenze negli stili di apprendimento, sulle differenze nella scelta della carriera, nelle prestazioni accademiche e in ambito professionale, sulla percezione della pertinenza dei contenuti curriculari rispetto alla professione, sul carico di lavoro degli studenti e dei docenti, sui costi in termini di risorse umane e finanziarie per gestire un corso di laurea che adotta il PBL. Le ricerche condotte negli ultimi 30 anni sono numerosissime e trattano molti aspetti. Per quanto riguarda le ricerche sulla soddisfazione da parte di studenti e docenti, da 6 studi qualitativi e 6 quantitativi sulla soddisfazione degli studenti si evince che coloro che frequentano un curriculum che adotta il PBL in tutto il corso di laurea, valutano più positivamente la flessibilità e l’organizzazione del curricolo, il rapporto con il tutor, il livello di indipendenza, l’interazione studente – studente, il clima emotivo e la significatività delle esperienze formative rispetto ai colleghi che frequentano un corso tradizionale. In particolare gli studenti apprezzano il livello di coinvolgimento, l’opportunità di autodirigere il proprio studio, la flessibilità, l’indipendenza e il rapporto che si instaura tra studenti e docenti; per contro, indicano come limiti il tempo richiesto per raggiungere gli obiettivi stabiliti, i conflitti che a volte si sviluppano nei piccoli gruppi e il senso di incertezza rispetto alla correttezza delle informazioni trovate. I docenti che utilizzano il PBL, mostrano un atteggiamento positivo verso questa metodologia didattica; essi rivelano infatti, che l’esperienza del PBL è più positiva di quanto ci si potesse aspettare e che l’opportunità di interagire con gli studenti ad un livello molto più personale è la principale fonte di soddisfazione.

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