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Giornata mondiale contro l’omofobia, bifobia e transfobia:anche i sanitari in prima linea contro le discriminazioni

Il 17 maggio si celebra la Giornata mondiale contro l’omofobia, bifobia e transfobia, volta a sostenere l’impegno di tutti contro ogni forma di discriminazione e violenza basate sull’orientamento sessuale, identità ed espressione di genere.
Istituita nel 2004, viene celebrata in più di 130 paesi. La data celebra lo stesso giorno del 1990, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha escluso l’omosessualità dell’elenco dei disturbi mentali, definendola finalmente come “variante naturale del comportamento umano”. Sempre a partire dal 1990, viene sottolineata anche la scarsità della ricerca scientifica nei trattamenti volti a modificare l’orientamento sessuale, che il più delle volte hanno solo esiti negativi.

Prima di questa data, l’omosessualità era considerata una condizione psicopatologica, inserita tra i “Disturbi sociopatici di personalità”, nel manuale diagnostico dell’American psychiatric association (Apa) del 1952, che raccoglieva definizioni e descrizioni di malattie mentali. Un’edizione più recente del manuale, datata 1968, collocava, invece, l’omosessualità tra i “Disturbi mentali non psicotici”, considerata quindi una deviazione sessuale in modo analogo alla pedofilia.

La svolta decisiva avviene negli anni 70’, dopo i Moti di Stonewall nel giugno del 1969, che vedono la rivalsa dei diritti dei membri della comunità LGBTQ+, (Lesbian, Gay, Bisex, Transgender, Questioning).
La medicina ha fatto molto, ma molto c’è ancora da fare, per garantire equità nella cura e nell’assistenza, anche di fronte ad un pubblico che cambia, e di cui cambiano le esigenze.Spesso mancano studi, o se ci sono, risultano incompleti od indiziari, a detta degli stessi autori.Ne è un esempio, uno studio olandese del 2019, pubblicato sul British Medical Journal, che sancisce una maggiore incidenza di cancro al seno nelle donne trans (coloro che alla nascita presentano sesso maschile, ma non si riconoscono tali) rispetto alla popolazione maschile cisgender (cioè maschi che si sentono al proprio agio nel genere attribuito alla nascita). La popolazione maschile, sebbene non esente dal cancro al seno, non è normalmente oggetto di programmi di screening. Così, neanche la comunità trans, che sembrerebbe, però, più esposta, anche a causa della terapia ormonale sostitutiva. Tuttavia, lo studio è stato definito “osservazionale”, quindi non in grado di stabilire un nesso causale, nonostante un campione molto ampio.

IL CONVEGNO

Medicina e sanità che cambiano e devono cambiare, anche questo il tema al centro del convegno “I generi e le sessualità: conformismi, depatologizzazione e microaggressioni”, organizzato dall’Università Federico II, sotto la moderazione di Annamaria Iannicelli, direttore delle Attività didattiche professionalizzanti del Corso di Laurea in Infermieristica e da Concetta Giancola, Presidente del Comitato unico di garanzia della Federico II. E che vede, tra gli altri, la presenza del Rettore Matteo Lorito e del presidente Arcigay Daniela Lourdes Falanga. L’evento si pone lo scopo di informare e formare, al fine di garantire e promuovere il riconoscimento dei diritti di tutti i cittadini. Porre l’accento sull’importanza di formare ed informare, è fondamentale per assicurare un accesso equo ai servizi sanitari, dove è più che mai necessario garantire che non ci sia alcuna discriminazione, in base all’identità di genere o all’orientamento sessuale. Molto è stato fatto, ma molto c’è ancora da fare.

GENERE E SALUTE

Un rapporto del 2015 della Unhealthy Attitude, che ha coinvolto professionisti sanitari, ha rilevato che il 24% del campione, di circa 3000 unità, ha sentito i propri colleghi rivolgersi ai pazienti con atteggiamenti e commenti negativi sulle persone LGBT. Dato altrettanto rilevante è che il 57% del personale ha dichiarato di non considerare l’orientamento sessuale rilevante per i bisogni di salute ed assistenza di una persona.

Storicamente, il ruolo dei professionisti sanitari è stato doppiamente importante: non solo per la gestione della salute di una persona, ma anche per garantire che il paziente si sentisse accolto e tutelato.
Un esempio di come la sessualità sia stata strumentalizzata, anche in ambito sanitario, generando lo stigma che per anni ha accompagnato le persone LGBT, in particolare gli uomini omosessuali, è stata l’improvvisa insorgenza di un nuovo virus, l’AIDS, all’inizio degli anni ’80.

Un ricercatore dell’Università della California, Michael Gottlieb, era impegnato in alcune ricerche sulle insufficienze del sistema immunitario, quando si è imbattuto in un giovane paziente, affetto da un raro tipo di polmonite. Di lì a poco, Gottlieb viene a conoscenza di altri tre pazienti che presentavano bassi livelli di linfociti T, tutti uomini omosessuali, e tra l’opinione pubblica e la comunità medica, inizia a serpeggiare la convinzione che l’Acquired Immune Deficiency Syndrome, sia, in realtà, legata solo ed esclusivamente alla comunità LGBT. Addirittura la stampa e i professionisti sanitari parlano dell’AIDS come del GRID, ovvero Gay-Related Immune Deficiency.
Bisognerà attendere il 1982, per fermare questa falsa credenza. Due eventi significativi, la morte di un bambino emofiliaco a causa di una trasmissione infetta e il primo caso di trasmissione materno-fetale, convincono la comunità scientifica che la trasmissione della malattia non è legata all’orientamento sessuale.

In occasione quindi della Giornata mondiale contro l’omofobia, bifobia e transfobia è importante ricordare come in passato la discriminazione sia stata feroce, e come ancora adesso la medicina, e con essa i professionisti sanitari, necessitino di essere in costante aggiornamento, per garantire il diritto alla salute di tutti.

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