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Giornata mondiale contro l’AIDS, grande traguardo con la scoperta di una nuova terapia

Il 1° dicembre ricorre, come ogni anno dal 1988, la giornata mondiale contro l’AIDS, un’occasione straordinaria per mantenere alta l’attenzione su un’emergenza di salute di portata globale.

Siamo negli anni Venti del Novecento quando nella Repubblica Democratica del Congo iniziano a verificarsi i primi casi di contagio da AIDS. Il virus, come testimoniato da uno studio condotto in collaborazione da epidemiologi e storici, avrebbe avuto origine nel mondo animale per poi diffondersi tra gli uomini come conseguenza del contatto tra questi e il sangue infetto di scimpanzè in Africa, proprio agli inizi del Novecento.

Un insieme di condizioni di carattere storico e sociale ha comportato la diffusione del virus a livello globale: il primo caso sarebbe avvenuto in Léopoldville, una città coloniale che faceva parte del Congo Belga e, al tempo, in forte espansione. La prostituzione era largamente diffusa e, con questa, la diffusione di malattie infettive. A questo, si deve aggiungere anche l’utilizzo di siringhe non sterilizzate negli ospedali e il grande sviluppo del traffico ferroviario che consentiva gli spostamenti di individui, animali e beni di prima necessità. Questi fattori avrebbero determinato la diffusione del virus prima in altri paesi africani, lungo le principali direttrici delle linee ferroviarie tra le città minerarie del Congo, e poi nel resto del mondo.

Ma cos’è l’HIV dal punto di vista medico-scientifico? L’AIDS (sindrome di immunodeficienza acquisita) è una malattia infettiva causata dal virus dell’HIV (virus dell’immunodeficienza umana) che agisce riducendo drasticamente le difese immunitarie dell’organismo.

L’HIV si può trasmettere in qualsiasi stadio della malattia tramite rapporti sessuali non protetti, contatto diretto con sangue infetto, trasmissione verticale tra madre e bambino in gravidanza, il parto o l’allattamento al seno. Il virus tende a replicarsi molto rapidamente sfruttando i globuli bianchi, distruggendoli e lasciandone l’organismo privo. Se non controllata precocemente con la giusta terapia, l’HIV può degenerare in AIDS.

Ad oggi, non esistono cure per l’eradicazione definitiva del virus; il trattamento dell’infezione prevede una combinazione di farmaci che si limita a bloccarne la replicazione, riducendo la carica virale e la distruzione del sistema immunitario. L’utilizzo di tali farmaci in associazione identifica la cosiddetta “terapia antiretrovirale” (ART). L’ ART consente ai soggetti risultati positivi al virus HIV di allungare il periodo che intercorre tra il contagio e il sorgere dell’AIDS. La terapia è costituita dalla combinazione di tre o più farmaci, caratterizzati da diversi meccanismi d’azione contro il virus.

Jonathan Bazzi, finalista al premio Strega nel 2020 per il libro “Febbre”, ha raccontato la sofferenza degli anni trascorsi a lottare contro l’HIV, la violenza di ingerire la pastiglia, spesso davanti a occhi curiosi e, al contempo, spaventati, l’ansia, la paura, il disagio. E poi, il grande cambiamento: la scoperta di una nuova terapia, CaRLA, la prima a lunga durata disponibile da luglio anche in Italia.

Si tratta di una terapia long acting che consiste nell’iniezione intramuscolare, una volta ogni due mesi, di due farmaci in combinazione: il cabotegravir (Ca), inibitore dell’integrasi, e la rilpivirina (RLA). Si tratta di un grandissimo traguardo per tutti i sieropositivi, un traguardo che comporta un netto miglioramento delle loro condizioni di vita: con l’aiuto di CaRLA sembra quasi possibile, per i pazienti, allontanare e quasi dimenticare, per un istante, l’esistenza dell’AIDS.

Il dottore Rossotti, che segue alcuni pazienti in trattamento con CaRLA presso l’Ospedale Niguarda di Milano, parla di una vera e propria rivoluzione nel mondo dell’AIDS e per i pazienti. Eppure, non per tutti è facile accettare il cambiamento, sia perché non tutti hanno concretamente la possibilità di recarsi in ospedale 6 volte l’anno, per la somministrazione del trattamento, sia per il fatto che molti preferiscono l’assunzione delle classiche pillole a un radicale cambio nelle modalità di somministrazione della cura.

L’obiettivo è quello di aumentare le risorse, sia nei piccoli che nei grandi centri ospedalieri, in modo da garantire a tutti coloro che lo desiderano di avere libero accesso alla terapia. Diffondere corrette informazioni circa la natura del virus e le sue modalità di cura significa, in definitiva, consentire a chiunque di riconoscere in tempi brevi la sieropositività all’infezione così da agire tempestivamente a contrastarne la diffusione.

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