martedì, 26 Settembre, 2023

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Elezioni, l’agenda degli infermieri per il nuovo esecutivo

Contratto, libera professione, formazione le priorità

In questo clima da campagna elettorale, e in vista dell’appuntamento con le urne del 25 settembre, le varie categorie professionali del mondo sanitario affilano le armi per sottoporre all’agenda dei partiti in lizza per un posto al sole in parlamento le richieste da inserire nel programma di governo.
Le richieste della Fnopi (la Federazione nazionale degli Ordini degli Infermieri) al nuovo Parlamento rimanda alla emergenza pandemica appena passata, e anzi ancora in atto, che ha fatto venire a galla molti nodi atavici e irrisolti nel Governo della Salute nel nostro Paese. Mai come oggi dunque alcune modifiche di leggi e contratti appaiono non più rimandabili per salvaguardare la Salute dei cittadini e garantire sicurezza e appropriatezza alle attività di operatori e professionisti che lavorano nel Servizio sanitario nazionale.

In Italia, gli iscritti agli Ordini provinciali e regionali degli infernieri contano poco meno di 500 mila camici bianchi (460 mila per la precisione). Alla vigilia dell’appuntamento elettorale e in un momento epocale post (?) pandemico, in uno scenario di guerra e di revisioni profonde delle politiche energetiche del nostro Paese questi professionisti chiedono una svolta anche in tema di politiche per la Salute per garantire ad operatori e pazienti qualità e sicurezza in corsia e adeguate risposte ai mutati bisogni di assistenza dei cittadini pazienti.

“Gli infermieri sono pochi rispetto al fabbisogno dell’utenza e la professione è sempre meno attrattiva” è il punto di partenza del ragionamento della Fnopi che ha identificato tre punti prioritari su cui spingere. Il primo è l’innalzamento della base contrattuale che, a fronte di investimenti promessi dall’esecutivo uscente, pone ora nel mutato scenario internazionale sfide straordinarie che ricadranno sulle responsabilità dei nuovi titolari dei ministeri di Economia e Salute.

Un altro aspetto ritenuto prioritario riguarda il riconoscimento economico del rapporto esclusivo per i professionisti infermieri (discorso che in prospettiva può tranquillamente essere allargato alle professioni sanitarie). In lista c’è poi ancora il riconoscimento delle competenze specialistiche e la richiesta netta di attuare con chiarezza un’evoluzione, coerente con quella attuata negli ultimi anni, della formazione di livello universitario. Tutti punti che fondano sulla stabilità del ruolo di infermiere e sul miglioramento quali quantitativo della platea di infermieri operanti nel servizio sanitario. Presupposti questi, per quel cambio di passo tanto auspicato negli ultimi due anni dalla stessa categoria.

Proprio sul fronte della formazione un paradosso: “I posti messi a bando negli Atenei – sottolinea la Fnopi – spesso non sono tutti colmati ma il numero di infermieri richiesti sul territorio non sono quelli di cui l’Italia dispone anche rispetto ai rapporti previsti dalle analisi internazionali (Oms, Ocse ecc.)”. Le cause di questa forbice? Sono da ricercare nel mancato riconoscimento del ruolo professionale, della sottostima della remunerazione della professione e nell’assenza di prospettive di carriera.

Le nuove necessità normative per un cambio di rotta sono dunque riassumibili in tre blocchi.

La valorizzazione della voce contrattuale può essere definita come “indennità di specificità infermieristica” (voce stipendiale istituita dalla legge di Bilancio 2021 e già individuata contrattualmente), da incrementare di almeno il 30%. Il ragionamento da cui parte la tabella rivendicativa fa riferimento al fatto che oggi, gli infermieri italiani, sono al 25° posto come media di remunerazione annuale nell’ambito dei paesi Ocse (seguita da altri 8 Paesi). Fari puntati, come detto, anche sul riconoscimento economico dell’esclusività per gli infermieri che lavorano in ambito clinico e che abbiano incarichi e ruolo nell’ambito della dirigenza manageriale nei servizi organizzativi nelle strutture sanitarie a gestione diretta (Asl e ospedali, reti dell’urgenza) e nelle strutture accreditate con il servizio sanitario nazionale. L’obiettivo è andare oltre i limiti dell’attuale quadro normativo che disciplina il Pubblico impiego e che risale ormai a 21 anni fa. Oppure, in alternativa, consentire ai professionisti infermieri l’esercizio della libera professione cosiddetta extramoenia, che è oggi vietato dalla legge e sentito come un limite alla possibilità che un infermiere ha di investire sulle proprie competenze e professionalità.

Il secondo gradino conduce all’inserimento, all’interno della griglia dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) dell’area specialistica e assistenziale in quadro di uniformità di prestazioni da erogare a livello regionale e nazionale, con l’istituzione delle competenze specialistiche che già oggi sono presenti nel bagaglio dei professionista ma che non sono ufficialmente riconosciute agli infermieriBasta pensare agli esempi del Wound Care, del management delle manovre per gli accessi venosi, irrinunciabile in ogni area clinica. E ancora le medicazioni avanzate per le pieghe, la gestione delle stomie e poi gli interventi di educazione sanitaria e aderenza terapeutica che definiscono un campo di confine spesso condiviso ma distinto e separato rispetto alle prerogative professionali espresse delle 19 professioni sanitarie afferenti al rispettivo Ordine.

Tra le richieste inserita nella piattaforma rivendicativa degli infermieri che negli ultimi anni hanno avuto una interlocuzione politica con forze politiche emergenti figura anche la possibilità di prescrivere alcune categorie di farmaci e ausili/presidi. Questo definisce un campo minato in cui i medici, insidiati in questo ruolo esclusivo di diagnosi, terapia e prescrizioni, non sono disposti a concedere margini e per altri versi contesi anche con altre categorie professionali come quelle dei farmacisti.

Se è comprensibile che ciascuno voglia allargare il recinto delle competenze specialistiche infermieristiche, come del resto già concesso in alcuni Paesi, va poi chiarito proprio sul fronte formativo affinità e divergenze delle competenze acquisite da medici, infermieri e altre professioni. Il vuoto normativo, che rende anche difficile la libera circolazione omogenea dei professionisti in Europa, rimanda poi alla direttiva 2013/55/UE.
Quel che emerge chiaro è che gli infermieri chiedono a chiare lettere un urgente riconoscimento formativo, organizzativo, contrattuale e di carriera e il riconoscimento pieno anche del ruolo dell’infermiere di famiglia e di comunità, professionista, quest’ultimo, sulle cui responsabilità e funzioni ricadono i processi di cura in ambito familiare e comunitario.

Il terzo blocco infine rimanda alla citata valorizzazione della formazione infermieristica negli Atenei, con l’istituzione di lauree magistrali a indirizzo clinico e scuole di specializzazione. Inoltre, si dovranno legare i posti del corso di laurea e delle lauree specialistiche al fabbisogno del sistema salute. Per questo è richiesto di prevedere il finanziamento della docenza universitaria e aumentare il numero dei professori-infermieri (il rapporto docente/studenti è 1:1.350 per gli infermieri, contro altre facoltà sanitarie dove è 1:6). “La politica – conclude la FNOPI – deve porsi obiettivi precisi: senza infermieri non c’è salute, l’Italia deve dimostrare di essere una nazione che investe sull’infermieristica, i cittadini non possono più aspettare”.

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