Lo scorso settembre, la dottoressa Anna Maria Moretti, già a capo della Struttura di Malattie apparato respiratorio dell’Ospedale Santa Maria GVM di Bari, e presidente nazionale del Gruppo italiano salute e genere (Giseg), è stata eletta a capo dell’Igm, la Società Internazionale di Medicina di Genere.
Un orgoglio per le eccellenze italiane, che accende un faro sulla medicina di genere, argomento di cui si parla sempre più spesso. Convegni, tavoli di lavoro e la commissione dedicata in seno alla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo), sino ad arrivare alla pioneristica attivazione di un corso dedicato, presso l’Università degli Studi di Udine. Il corso “Comprendere la medicina personalizzata in una prospettiva di genere”, promosso dal Dipartimento di Area Medica – DAME e dal Comitato Unico di Garanzia (CUG), in attuazione del piano per la gender equality.
Ma a che punto è la situazione in Italia?
Il 13 giugno 2019 è stato firmato dal Ministero della Salute il decreto con cui viene adottato il “Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere”, previsto dall’articolo 3 della legge 3/2018. Si è trattato di un importante passo in avanti, fondamentale per porre l’Italia all’avanguardia, a livello europeo, nell’ambito della Medicina di Genere.
Cosa si intende per Medicina di Genere?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la Medicina di Genere come “lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.” Il genere si pone ora centralmente rispetto al tema della salute, rappresentando un’apertura, seppur tardiva, ai servizi di prevenzione, diagnosi e cura specifici e personalizzati per ogni individuo presente sul territorio nazionale.
È negli Stati Uniti che si inizia a parlare di Medicina di Genere: è il 1991 quando, in ambito cardiologico, ci si accorse che tutti gli esperimenti erano stati condotti unicamente su animali ed esseri umani di genere maschile. In Italia, invece, l’idea di una medicina differenziata per soggetti maschili e femminili si sviluppa con qualche decennio di ritardo, intorno al 2000, grazie a soggetti operanti in alcune società scientifiche di cardiologia, neurologia, farmacologia e diabetologia. Da qui sono nate due società, impegnate negli studi della medicina di genere: la Società di psico-patologia di genere e la Società italiana per la salute e la medicina di genere.
Isteria: una malattia tutta femminile?
Storicamente parlando, la branca medica “femminile” è stata a lungo legata ai soli aspetti specifici correlati alla riproduzione: “è l’utero la causa di tutte le malattie delle donne” scrive Ippocrate nel Corpus hippocraticum. Non sorprende, quindi, che i ginecologi siano riconosciuti, da sempre, come i veri e unici esperti della medicina della donna, così come non sorprende, ad esempio, la circoscrizione dell’isteria al solo soggetto uterino.
I primi disturbi isterici sono già attestati in testi egizi risalenti al 1900 a.C. ma è Ippocrate ad aver coniato, per primo, il termine isteria dal greco “hysterion” ovvero “utero”, attribuendo questo disturbo, provocato da uno spostamento dell’utero, unicamente alle donne. Nel Medioevo le donne isteriche erano accusate di stregoneria e, per questo, esorcizzate o condannate al rogo.
L’isteria è una malattia di fatto ancora protagonista durante il XIX secolo, quando se ne attribuisce la causa allo stress derivante dal ruolo che le donne ricoprono all’interno della società. La soluzione? La tecnica del parossismo isterico (masturbazione clitoridea) al fine di condurre le “isteriche” all’orgasmo. La svolta arriva con Freud e la psicanalisi: per la prima volta, l’isteria non viene attribuita a fondamenti organici ma a cause di tipo psichico. Tramite la cura dell’ipnosi, lo psicanalista viennese riusciva a recuperare i traumi rimossi dal paziente isterico, ormai relegati nel suo inconscio.
Se il trattamento riservato alle pazienti “isteriche” nei secoli passati non sorprende, ciò che sicuramente lascia perplessi è il fatto che il termine “nevrosi isterica” viene abolito solamente nel 1980, ritardo certo determinato dal maschilismo vigente nella società occidentale che ha sempre represso la donna, ancora oggi considerata non alla pari dell’uomo.
Generi diversi, risposte diverse
Oltre ad essere socialmente svantaggiate, da un punto di vista clinico le donne tendono ad ammalarsi di più, consumano più farmaci e sono più soggette a reazioni avverse. Di fatti, le medesime malattie si manifestano con modalità differenti in soggetti di genere maschile e in quelli di genere femminile. Ad esempio, spiega Teresita Mazzei, farmacologa all’Università di Firenze, a parità di incidenza di tumori, gli uomini registrano un tasso di mortalità più elevato; le donne tendono a sopravvivere meglio alle malattie ma con un maggiore rischio di sviluppare forme di disabilità; gli uomini solitamente si ammalano di infezioni più facilmente rispetto alle donne che, grazie agli ormoni estrogeni, presentano un sistema immunitario più efficace.
Attraverso uno studio, l’ISS ha presentato due dati fondamentali nel campo della Medicina di Genere: non solo uomini e donne sono diversi nel modo di ammalarsi, ma la risposta immunologica differisce tantissimo, presentandosi inizialmente più rapida ed elevata nel campione femminile. Tali differenze riguardano le modalità in cui uomini e donne si ammalano di Covid-19 e rispondono al vaccino contro il Sars-COV-2. I risultati dello studio condotto dall’ ISS sono stati poi presentati al Congresso Internazionale di Medicina di Genere. I ricercatori si sono basati sulla risposta degli anticorpi anti-Spike di 521 operatori sanitari, di cui 136 uomini e 385 donne, tutti vaccinati con doppia dose. Il livello di anticorpi è stato misurato, per tutti, ad intervalli di tempo ben precisi: dopo 16, 77 e 154 giorni dall’ultima dose di vaccino. I risultati dimostrano che dopo 150 giorni, nelle donne si registra un numero di anticorpi 1,7 volte maggiore rispetto a quello registrato negli uomini. Dop 154 giorni il livello di anticorpi era pressocché pari in tutti i partecipanti allo studio di ricerca. A tale proposito, Anna Ruggieri, ricercatrice senior dell’ISS, ha espresso la necessità di “mettere in campo strategie di sorveglianza sanitaria più specifiche” proprio al fine di consentire una centralizzazione del paziente. Una necessità che si è rivelata fondamentale nel corso della pandemia per capire i risultati della vaccinazione nel lungo termine.
Alcuni dati
I dati Istat relativi allo stato di salute degli italiani parlano chiaro: l’8,3% delle donne denuncia un cattivo stato di salute rispetto al 5,3% degli uomini. Le malattie che colpiscono maggiormente i soggetti di genere femminile sono i seguenti:
- osteoporosi (+736% rispetto agli uomini)
- malattia della tiroide (+500%)
- depressione a ansia (+138%)
- cefalea ed emicrania (+123%)
- morbo di Alzheimer (+100%)
- cataratta (+80%)
- artrosi e artrite (+49%)
- calcolosi (+31%)
- ipertensione arteriosa (+30%)
- diabete (+9%)
- allergie (+8%)
- alcune malattie cardiache (+5%).
Risulta evidente, allora, che diffondere la Medicina di Genere in tutte le branche del sapere medico significa promuovere l’appropriatezza e la personalizzazione delle cure e studiare, sulla base delle differenze di genere tra uomini e donne, come si sviluppano le patologie, quali sono i sintomi, come si fa prevenzione, diagnosi e terapia.