Il 6 dicembre nell’aula magna della Città ospedaliera della struttura irpina è stata illustrata la metodica a una platea di specialisti di fama internazionale.
L’utilizzo del laser per il trattamento delle lesioni arteriose coronariche e degli arti inferiori all’Azienda Ospedaliera San Giuseppe Moscati di Avellino è ormai una realtà che addirittura si va consolidando. I casi trattati, tra i primi al mondo e tutti con successo, sono stati presentati ieri a una platea di cardiologici di fama internazionale, nel corso di un convegno organizzato dal direttore dell’Unità operativa di Cardiologia Utic, Emilio Di Lorenzo e da Vittorio Ambrosini, dirigente medico cardiologo dell’Azienda Moscati e presidente della Cardiovascular Laser Society.
«L’introduzione di tecniche laser perfezionate – spiega proprio Ambrosini – ha portato al loro uso efficace per il trattamento di un ampio spettro di lesioni coronariche complesse, come quelle trombotiche, e delle occlusioni croniche, dimostrando efficacia anche nella sindrome coronarica acuta. La graduale implementazione della tecnica con strategie ad alta energia combinate con l’infusione di contrasto ha permesso di trattare un numero crescente di casi complessi con un basso tasso di complicanze periprocedurali. In pratica – spiega il cardiologo – il raggio laser vaporizza in pochi minuti la placca che ostruisce l’arteria, consentendo di ristabilire il normale flusso sanguigno».
La metodica è stata illustrata attraverso la descrizione dei casi clinici trattati all’Azienda Moscati. «L’innovativa tecnica – afferma il primario Di Lorenzo – è stata infatti utilizzata dalla nostra équipe del laboratorio di Emodinamica su diversi pazienti per intervenire su lesioni coronariche complesse».
All’incontro sono intervenuti il direttore generale dell’Azienda Moscati, Renato Pizzuti e il direttore sanitario aziendale Rosario Lanzetta per poi proseguire con le relazioni di illustri specialisti provenienti da tutta Italia.
Le tecniche
Attualmente in clinica cardiologica interventistica esistono due tecnologie con le quali si trattano le lesioni coronariche calcifiche per disostruirle: il Rotablator è un trapano che gira a 180mila giri al minuto e che si inserisce nella coronaria per distruggere il calcio ma non sempre funziona. I residui di concrezioni e di placca vanno in circolo e si fermano a livello dei capillari dando origine a pericolosi microemboli. L’altra possibilità per disostruire l’arteria è usare dei palloncini che si gonfiano a 40 atmosfere (un valore altissimo) dentro la coronaria e che rappresentano la metodica più utilizzata per disostruire l’arteria con il successivo posizionamento di uno stand metallico (cosiddetta angioplastica). Trattandosi di una procedura invasiva il rischio è che la placca si possa spaccare insieme alla coronaria con rischio di mortalità.
Pazienti a rischio
Nel 5% dei pazienti che hanno le coronarie calcificate tuttavia non sono applicabili queste due tecniche. Secondo uno studio americano condotto su oltre 5mila pazienti e pubblicato su Jama Cardiology, la semplice presenza di calcio, anche per gli score più bassi, è associata ad un aumento da 2,6 a 10 volte di eventi clinici nell’arco dei 12,5 anni successivi. Per chi presentava gli score più elevati (pari a 100 o superiori), l’incidenza di mortalità è risultata pari al 22%, in pratica 1 su 5.
Il laser a luce fredda che polverizza
L’innovazione è rappresentata da una metodica utilizzata nei centri ospedalieri di alta specializzazione, pochi a livello europeo, cha trattano una lesione coronarica severamente calcifica in un paziente ad alto rischio con il laser. In questi casi i metodi interventistici convenzionali non hanno avuto alcun risultato con dolore anginoso refrattario che non risolvono anche dopo dilatazione delle coronarie”.
In passato, questa tecnologia era già stata usata per i trombi. Ora si usa anche nelle calcificazioni. Si introduce nella coronaria malata, attraverso un piccolo foro praticato sull’arteria radiale del polso, la sonda laser collegata a un generatore bombarda con il fascio di luce laser la placca di calcio intrattabile che ostruisce la coronaria. Il paziente è sveglio e non è richiesta sedazione profonda. Dopo l’iniezione del mezzo di contrasto con un solo passaggio il calcio viene vaporizzato. Impossibile rompere la coronaria perché le onde sonore agiscono selettivamente sulle strutture rigide calcifiche e non quelle elastiche muscolari della parete coronarica.
In alcuni casi si procede successivamente comunque al posizionamento di uno stent in angioplastica. L’intervento chirurgico di bypass coronarico è evitato. La tecnica viene praticata in una decina di ospedali italiani. In sintesi il laser cardiovascolare trova indicazione in tutte le situazioni in cui i normali strumenti utilizzati attualmente (pallone, stent, frese ablative) per la disostruzione delle arterie coronariche malate non hanno successo, permettendo di aumentare la sicurezza procedurale degli interventi di Cardiologia Interventistica anche nei casi più complessi come questo.