Il principale obiettivo della Missione 6 del Pnrr è migliorare il SSN dal punto di vista dell’efficacia e dell’efficienza al fine di ridurre al minimo l’impatto delle diseguaglianze sociali fra le persone che accedono al sistema della salute. E le misure adottate devono produrre gli effetti programmati in un tempo relativamente breve, dato che i fondi assegnati dovranno essere spesi entro cinque anni.
Secondo la maggior parte degli esperti, la riuscita del PNRR si misurerà anche valutando il suo impatto sociale e non solo quello economico. Uno dei feedback sarà sicuramente il sistema di gestione della cronicità, già al centro di importanti modifiche anche prima dell’anno 2019.
Con il protrarsi della Pandemia da COVID-19 le problematiche già prima riscontrate nel sistema di gestione dei malati cronici si sono ulteriormente amplificate. Per poterle superare bisognerà trarre il giusto insegnamento dalla crisi, mettendo a punto il Piano Nazionale Cronicità (PNC), approvato in Conferenza Stato-Regioni nel settembre del 2016, coniugandolo con la nuova agenda dettata dalla necessità di utilizzare al meglio le risorse del Recovery Fund per la realizzazione della missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Questo cambio di paradigma quindi è già stato avviato, seppure parzialmente dal Piano Nazionale Cronicità (PNC), che aveva già tracciato la direzione da prendere per gestire meglio e in maniera più coordinata fra le Regioni il problema della cronicità.
Gli Investimenti
Dei 750 miliardi di euro che il bilancio dell’Unione Europea 2021-2027 ha stanziato introducendo il Recovery Fund per la ripresa economica post-pandemica, l’Italia riceverà 191,5 miliardi di euro, in aggiunta agli altri 30,6 miliardi di euro del fondo complementare. Il nostro Paese si è aggiudicato la quota più alta, ma accettando l’aiuto dell’Europa lo Stato italiano si è indebitato per un importo che è pari al 65% del contributo ricevuto. Solo 390 miliardi, sui 750, infatti sono stati stanziati come contributo a fondo perduto. Il resto deve essere restituito. Nello specifico della Missione 6, l’assegnazione per il raggiungimento degli obiettivi ammonta ad un totale di 20,23 miliardi di euro (compreso il fondo complementare).
Questi fondi serviranno da un lato a potenziare l’assistenza territoriale tramite la creazione di nuove strutture, come gli Ospedali le Case della Comunità, dall’altro per il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, lo sviluppo della telemedicina, la digitalizzazione e l’aumento del fabbisogno di personale impiegato sia nel SSN sia nella ricerca che nella formazione. La Missione è una, le aree di investimento sono otto, e le Riforme da mettere in atto sono due. Si tratta di un’occasione unica, che deve mirare ben oltre il ripristino dell’organizzazione sanitaria e socio-sanitaria pre-emergenza epidemiologica, bensì trarre spunto da quanto si è verificato per imprimere il cambiamento che da anni tutti gli stakeholder impegnati nel SSN ritengono necessario. La Pandemia in corso da oltre due anni infatti, ha solo acuito le già evidenti disparità territoriali nell’erogazione dei servizi, mettendo in evidenza le criticità nella presa in carico dei pazienti, soprattutto nel passaggio tra assistenza ospedaliera e quella territoriale in raccordo con i servizi sociali.
Il Piano Nazionale Cronicità (PNC)
Le Linee guida nazionali per la gestione delle cronicità sono state approvate dalla Conferenza Stato-Regioni nel settembre del 2016. Molto prima che l’emergenza pandemica stravolgesse i sistemi sanitari di tutto il mondo, facendo passare in secondo piano i pazienti affetti da patologie croniche e la loro gestione.
Il Pnc, diviso in due parti, tratta separatamente il tema della presa in carico del paziente indipendentemente dalla malattia che ne determina la cronicità, sottolineando la necessità di lavorare sui fattori di predisposizione che facilitino la prevenzione e la diagnosi precoce. Quale strumento per la gestione del paziente viene individuato il Percorso Diagnostico-Terapeutico-Assistenziale (PDTA).
Le indicazioni per le Regioni riguardano:
• La personalizzazione dell’assistenza;
• La creazione di modelli omogenei di stratificazione della popolazione, per garantire che non ci siano differenze interregionali;
• L’integrazione ospedale-territorio per non sovraccaricare gli ospedali e non medicalizzare eccessivamente la vita dei pazienti. Gestire il paziente a domicilio significa infatti sfruttare al meglio la sanità digitale, quindi tutto quello che riguarda la telemedicina, il teleconsulto e la teleassistenza, aspetti ai quali il Piano dedica particolare attenzione.
Le strategie necessarie per superare le fragilità delle persone e dell’organizzazione tenendo conto sia del PNC, che sistematizza la nuova visione ed esalta la necessità di un riorientamento dei servizi e dei professionisti, sia del PNRR, dovranno rilanciare, secondo una nuova prospettiva, la sfida alla cronicità e alla fragilità. Pr fare questo è necessario mettere in atto azioni che:
• Favoriscano una stretta connessione fra didattica, ricerca, assistenza;
• Individuino e rafforzino l’interfaccia fra le strutture e i professionisti;
• Evidenzino e sostengano il contributo di grande valore portato dall’Associazionismo, che rappresenta il ‘capitale sociale’ del nostro paese.
L’associazionismo che è una risorsa della collettività deve coordinarsi e comunicare in maniera costruttiva con l’intervento pubblico senza sostituirsi ad esso e diventando sempre più un elemento fondamentale in quella rete di relazioni che devono legare in un rapporto di partnership tutti i protagonisti del mondo della salute, del lavoro e dell’ambiente.
Le Reti di prossimità e la Telemedicina
L’incidenza sociale ed economica delle malattie croniche sarebbe nettamente inferiore se si riuscisse a prevenirle. Per fare questo su tutto il territorio nazionale e in maniera capillare dovrebbe essere sempre garantita la presenza di una rete di ospedali in grado di fornire alta qualità delle cure. Per raggiungere questo obiettivo il PNRR prevede di avvalersi di equipe mediche di eccellenza con un profilo itinerante e quindi non più legate ad una città o ad uno specifico nosocomio in cui sono i pazienti a doversi recare con un notevole aumento di costi a carico del cittadino e una maggior difficoltà di accesso da parte di chi ha minori disponibilità economiche. Il Programma di gestione dei pazienti cronici pertanto prevede che le cure siano più vicine e accessibili ai pazienti nella logica di abbreviare i percorsi di cura.
La creazione di strutture di prossimità o la riconversione dei piccoli ospedali in strutture territoriali servirà ad offrire una assistenza di base continua che verrà bilanciata dal potenziamento dei grandi nosocomi specializzati, dove dovranno essere concentrate le tecnologie e le grandi attrezzature clinicamente più efficaci e produttive, in modo da massimizzarne l’utilizzo. Accorpare gli ospedali servirà anche a creare una maggiore massa critica in termini di casistica e competenze cliniche, oltre che a ridurre i costi di gestione. Costi che potranno anche essere ridotti eliminando tutti i contatti inutili fra paziente e ospedale: potenziare l’assistenza domiciliare e sociale è la condizione necessaria per lo sviluppo di una vera e propria assistenza di prossimità che per la gestione delle cronicità è fondamentale.
La Long Term Care
Potenziare l’assistenza domiciliare non basta se poi i pazienti, caregivers e famiglie non vengono messi nella condizione di accedere alle infrastrutture che permettano loro di rimanere autosufficienti, adattamenti delle loro condizioni abitative ed iniziative di housing o co-housing sociale che rendano economicamente sostenibili queste scelte. L’ottica pertanto non deve più essere quella di occuparsi solo del singolo paziente, ma di tutto il nucleo familiare che gli sta attorno. E se le cure specialistiche dovranno muoversi sempre di più sul modello della telemedicina, è necessario che sul territorio si integrino Case di Comunità, Case della Salute, ambulatori e studi dei medici di medicina generale. Il tutto in una minor densità abitativa.
Ad oggi la medicina di base è una grande risorsa territoriale poco sfruttata poiché non dialoga in maniera adeguata con gli ospedali e perché non dispone di tecnologie adeguate. La continuità delle cure inoltre va garantita con ambulatori attivi almeno 8 ore al giorno, 6 giorni a settimana, e i medici di medicina generale dovrebbero ricevere supporto amministrativo e sociosanitario.
Le cure intermedie poi vanno uniformate a livello strutturale e territoriale, valorizzando la componente infermieristica e orientando gli investimenti sulla base delle necessità di riequilibrio territoriale, lavorando sul collegamento con gli ospedali per evitare ricoveri evitabili.
La Digitalizzazione
Ad oggi si stima che le strutture sanitarie nel nostro Paese hanno un numero molto elevato di attrezzature obsolete ed inutilizzate. Le risorse messe a disposizione serviranno non solo a rinnovare le dotazioni tecnologiche ma soprattutto ad allocarle meglio con un numero più basso di macchinari ma altamente performanti e funzionali all’utilizzo che se ne deve fare. Per adeguarsi alla media europea infatti, l’Italia deve puntare ad avere almeno fra il 60% e il 70% delle attrezzature sotto i 5 anni di età, concentrate nei luoghi dove il fabbisogno medio è maggiore. Ad oggi, i dati pubblicati dal Ministero della Salute mostrano che le tipologie di grandi attrezzature sanitarie con più̀ di dieci anni di vetustà sono circa il 24% delle tomografie computerizzate (Tac); circa il 27% delle risonanze magnetiche nucleari (RMN); circa il 31% degli angiografi; circa il 29% delle mammografie; circa il 50% dei ventilatori polmonari.
Altro tema centrale della strategia della Commissione europea per migliorare i servizi legati alla salute è quello della digitalizzazione. I dati sono ormai riconosciuti come un fattore chiave per la trasformazione digitale nel settore sanitario. Data l’importanza della promozione della ricerca e della prevenzione delle malattie, i cittadini devono essere in grado di accedere e condividere i propri dati ovunque nell’UE. Nell’Indice di digitalizzazione, l’Italia risulta in 25° posizione su 28 Stati membri dell’UE, davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria. Il punteggio italiano è di ben 9 punti inferiore alla media UE.
Il Pnrr prevede il potenziamento del Fascicolo sanitario elettronico e del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS) oltre ad un investimento specifico per il “Rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione, l’analisi dei dati e la simulazione”, che mira ad imprimere un profondo cambio di passo nelle infrastrutture tecnologiche esistenti che trattano dati sanitari. Si parte con il potenziamento del Fascicolo sanitario elettronico (FSE), al fine di garantirne la diffusione, l’omogeneità e l’accessibilità su tutto il territorio nazionale da parte degli assistiti e operatori sanitari per arrivare al rafforzamento del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS), strumento di analisi del Ministero della salute per il monitoraggio della programmazione sanitaria.
Le nuove tecnologie aprono infatti la strada a politiche sanitarie mirate, grazie anche alla disponibilità oggi di strumenti di analisi, simulazione e previsione molto potenti e consentono la personalizzazione dell’assistenza, aumentando il coinvolgimento dei pazienti.