Quali sono le novità sul fronte del Covid sul piano clinico, infettivologico, delle norme, della prevenzione, con cui fare i conti in questo caldo autunno 2022 e nel prossimo inverno?
La prima novità è che sta per arrivare una nuova ondata caratterizzata da una nuova variante virale chiamata “Cerberus” presente già nel 7% per cento dei casi di infezione in Italia e in mezza Europa. I tempi di raddoppio, il profilo esponenziale dei nuovi casi e l’andamento della cura di infezioni ci rivela che entro un mese circa questa variante, più infettiva di quella che l’aveva preceduta (Omicron 5 che già aveva battuto ogni record) sarà dominante e assorbirà il 100 per cento dei casi. Forse ci vorrà qualche settimana in più viste le miti temperature di questo ottobre e probabilmente anche novembre che consentiranno di mitigare la corsa del nuovo virus capace di aggirare l’immunità raggiunta sia con le vaccinazioni sia con le guarigioni. Ma insomma vi dovremo fare i conti.
Sul piano clinico oltre al fatto che sia capace di bucare il vaccino come e meglio di Omicron 5 e che sia più diffusiva non sappiamo molto. Il virus non è statico, continua a mutare e continuerà a farlo nei prossimi anni. Il processo di adattamento all’ospite, ossia all’uomo, considerato il fatto che è un virus nuovo affacciati alla nostra specie da meno di tre anni continuerà con una progressiva mitigazione della sua nocività ma nessuno può escludere che in questo percorso possa tornare a un assetto simile al virus Delta e provocare fiammate di nuove ospedalizzazioni e decessi.
ANZIANI FRAGILI
Allo stato dei fatti oggi i casi di Covid che si registrano colpiscono soprattutto gli anziani fragili affetti da pluripatologie in cui il Covid diventa una complicazione in più tutti affetti da altre patologie dominanti, soprattutto oncologici, in cui l’infezione è sempre un fattore aggravante mentre le polmoniti con profili clinici diffusi come nelle prime ondate sono diventate rare sebbene ancora presenti in alcuni pazienti che non si sono mai vaccinati ma come detto la pandemia non è finita. Il virus oggi ha una diversa capacità di penetrare nella popolazione in base al combinato disposto delle mutazioni che ha subito per sfuggire agli anticorpi dell’immunità su vaccino e guarigione e e della protezione sulla malattia grave che viene garantita dall’immunità diffusa. Oggi dunque i soggetti a rischio sono i fragili, gli ammalati, gli anziani, i pazienti con deficit immunitari, gli oncoematologici, trapiantati, dializzati, diabetici, cardiopatici e altri pazienti affetti da plutipatologie. Questi sono i candidati alle quarte dosi con i vecchi e i nuovi vaccini comunque efficaci a proteggere da esiti mortali dell’infezione tenendo presente che la senescenza del sistema immunitario inizia a partire dai 50 anni.
Ogni altra considerazione clinica sul nuovo ceppo potrà essere fatta quando l’indotta arriverà. Ed è certo che arriverà.
LE NORME
Intanto sul piano burocratico amministrativo il nuovo governo e il ministro della salute appena insediatisi hanno deciso di marciare verso uno scenario di regole meno restrittive: oltre a stabilire che il bollettino della Protezione civile sui casi diventerà settimanale anziché giornaliero (dal un punto di vista medico statistico cambia poco) c’è poi la questione del rientro al lavoro del personale sanitario no vax che segna una contraddizione stridente con quanto finora stabilito che potrebbe generare sfiducia e confusione. Via libera anche all’abbuono delle multe per chi ultra50 enne non abbia provveduto a vaccinarsi prima di andare al lavoro. Con l’attuale profilo di malattia in effetti i sintomi sono modesti.
Un operatore sanitario non vaccinato cosa rischia e cosa fa rischiare ai suoi pazienti? Secondo gli infettivologi del Cotugno di Napoli, polo monospecialistico per le malattie infettive, rischia di contrarre il virus, se in buona salute di essere asintomatico e pertanto di veicolare l’infezione per molti giorni ma nelle prime fasi di contagio di avere anche una maggiore carica virale. Il rientro al lavoro in codsia dei camici bianchi no vax è stato duramente stigmatizzato dal governatore della Campania Vincenzo De Luca vhe ha larlato di posizione ideologica e irresponsabili e di rischi maggiori per i pazienti. In teoria questo profilo di rischio considerando le tante infezioni a carico dei vaccinati vale anche per questi ultimi e anche per i guariti, ma a quanto pare in misura ridotta.
“Un non vaccinato è più sintomatico ma nella fase immediatamente precedente alla malattia conclamata è infettante molto più di un vaccinato o immunizzato” spiega Alessandro Perrella infettivologo del Cotugno. Uno dei limiti dell’immunità conferita dalle vaccinazioni (e anche dalle infezioni) è la scarsa durevolezza dell’immunità. Del resto Sars-Cov-2 è un coronavirus come lo sono i virus del raffreddore e alcuni parainfluenzali ed è esperienza comune infettarsi durante l’anno più volte col raffreddore superarlo, diventare immuni per qualche mese e poi incorrere ancora nell’infezione. A giocare la sua partita è sempre il virus capace di mutare rapidamente e l’immunità che di contro solitamente non dura a lungo a differenza di altre infezioni virali più stabili sia nella parte relativa al germe sia per quella relativa alla risposta immunitaria.
L’immunità da Covid dipende dal tempo intercorso dall’ultima dose: è provato ormai che la massima protezione si ha nel primo mese, dopo 4 di fatto inizia a ridursi la sorveglianza e si riduce la capacità protettiva dal contagio. Lo scudo dalla malattia grave si mantiene più a lungo, per circa un anno e così anche per la difesa conseguita dal virus intero durante un’infezione.
LE CURE
Sul fronte delle cure abbiamo ormai le idee sempre più chiare: oltre agli antivirali Paxlovid e Molnupiravir da somministrare entro i primi giorni dai sintomi, il primo da somministrare in ambiente ospedaliero e il secondo anche a domicilio, i più efficaci sono gli antinfiammatori non cortisonici di uso comune, in particolare l’ibuprofene che anche ad alte dosi sono ben tollerati (con protezione della mucosa gastrica) e in grado di limitare i danni dell’infezione. Il cortisone invece va riservato alle fasi più avanzate di malattie quando il virus scopare e nei casi ancora presenti in clinica, in cui dia luogo alla scia iperinfiammatoria che anche grazie ai vaccini è sempre più rara.
I VACCINI
“Uno dei limiti delle vaccinazioni – avverte Corrado Perriconi, già componente del Consiglio superiore di Sanità, ematologo, esperto di emocoagulopatie ed ex primario del Santobono di Napoli – è la scarsa durevolezza, il fatto che si indirizzi solo verso la proteina spike, l’uso di un Rna messaggero per stimolare la risposta immunitaria che non sappiamo quali conseguenze a lungo temine può determinare con una teorica e sempre possibile conversione di questo Rna in Dna se incontra sul suo cammino una trascrittasi inversa, enzima dei retrovirus come quello dell’Aids. Tutte incognite che ci spingono a considerare non più accettabile una vaccinazione su larga scala che è stat imposta in un contesto iniziale di pandemia quando c’era un’alta letalità dell’infezione, nessuna cura efficace. Va altresì considerato che il principale rischio dell’infezione, a anche quando modesta sul piano clinico, resta la trombosi per cui andrebbe attentamente indagato il profilo di trombofilia genetica dei pazienti attraverso le analisi del delle principali mutazioni molto comuni nella popolazione caucasica, Utilizziamo anche una tipizzazione linfocitaria che si aiuterebbe e ci avrebbe aiutato anche nelle prime fasi della pandemia a capire quale sia l’effettivo livello di rischio di una persona prima di indirizzarla verso il vaccino. Del resto la inadeguatezza degli attuali vaccini si evince dall’esistenza di 170 sperimentazioni in atto di cui nessuna assicura una immunità definitiva e durevole. Dovremo piuttosto orientarsi a una convivenza col virus proteggendo soprattutto le persone fragili con l’igiene e le mascherine per cui è incomprensibile il fatto che siano state rese non più obbligatorie in ambiente ospedaliero dove, a prescindere dal Covid, si deve sempre supporre un fattore di rischio per i ricoverati non cos’altro per le infezioni ospedaliere che come è noto mietono più vittime del Covid stesso oggi. Le mascherine in ospedale e nelle RSA dovrebbero essere sempre indossate, al di là della pandemia COVID-19″.
LE NUOVE REGOLE
Intanto dal 31 ottobre per circolare del neo ministro alla Salute Orazio Schillaci, è stata prorogata la norma disposta dal suo predecessore, Roberto Speranza, riguardo all’obbligo di indossare la mascherina quando si va in un ospedale, in un hospice o in una Rsa o nello studio del medico.
Uscire dalla fase dell’emergenza non significa abbassare la guardia. Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella aveva raccomandato prudenza: la situazione è migliorata, ma la battaglia contro il Covid non è stata ancora vinta. A detta di tutti gli esperti abbandonare le precauzioni antiCovid sarebbe un grave errore: l’utilizzo della mascherina, in alcuni contesti sanitari e non, quando si soggiorna in ambiente affollato e promiscuo e in particolare in ambiente ospedaliero a contatto con persone ultra fragili, anziane e malate ovvero con anziani in famiglia, rappresenta ancora uno strumento valido di prevenzione e protezione, anche in accordo alle procedure standard dell’Oms per la prevenzione delle malattie aerodiffusibili e a prescindere dal Covid.