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Coronavirus, il futuro dell’infezione. Vaccini imperfetti, l’importanza della tipizzazione linfocitaria

Coronavirus: qual è lo scenario che si sta profilando nel nostro Paese? Cominciamo dai dati: i contagi corrono e nell’ultima settimana crescono di oltre il 50 per cento mentre si inverte anche la curva relativa alle terapie intensive (+21,1%) e ai ricoveri ordinari che balzano in avanti del +31,8%. Per fortuna invece i decessi diminuiscono dell’8,5%. Alle porte di un altro autunno che si annuncia difficile per il numero di infezioni previste le quarte dosi di vaccino non decollano e sono ferme al 17,7% della platea degli ultra sessantenni e dei fragili (tutti in realtà potrebbero richiederla) mentre mancano all’appello dell’aggiornamento dello scudo immunitario quasi 14 milioni di persone considerate fragili e anziane. Di contro il governo uscente non ha ancora stilato il Piano di gestione pandemica per l’autunno-inverno 2022/2023 e la sua stesura viene dunque delegata al nuovo esecutivo.

LA REALTà CLINICA

Ma qual è la realtà clinica del virus oggi? Al netto della comparsa di nuove varianti come “Centaurus” di cui ancora non si conoscono bene i connotati e le caratteristiche di diffusività ma che promette di bucare l’immunità raggiunta con la vaccinazione e con le guarigioni, bisogna riconoscere che per i vaccinati e le persone sane la sintomatologia e l’espressione clinica dell’infezione decorrono oggi in maniera benigna e con sintomi molto modesti.
I contagi sono tantissimi, certo, anche molti di più di quelli registrati ufficialmente anche a causa dell’ormai generalizzato mancato uso delle mascherine e dell’utilizzo di tamponi fai-de-te non il cui esito positivo non è trascritto sulle piattaforme pubbliche.

In molti casi l’infezione si presenta tuttavia con un gran raffreddore con mal di gola e tosse non dissimili dai sintomi provocati da altri coronavirus stagionali o dallo stesso virus influenzale. L’impressione di molti clinici, infettivologi e virologi è che dunque in questa fase le vaccinazioni e le quarte dosi debbano effettivamente essere concentrate verso chi, nelle famiglie, è anziano o malato, fragile per età o per altre patologie in particolare oncologiche. I malati di tumore in particolare hanno mostrato una netta incapacità sia di immunizzarsi adeguatamente con la profilassi, sia di sviluppare una efficace difesa dopo l’infezione permanendo a volte per mesi positivi in forma sub clinica selezionando proprio per questo forme mutate e incroci tra vari ceppi. Questo aspetto è presente anche in altri tipi di malati cronici, in particolare i diabetici, i dializzati, gli immunodepressi per malattia primaria o per terapie farmacologiche di altre malattie.

IL LONG COVID

Un altro aspetto da considerare è che il virus resta subdolo e temibile per le conseguenze e lungo termine nei casi in cui sfocia in un long-Covid, ciò grazie al suo trofismo per gli endoteli che permeano il tessuto vascolare che irrora sostanzialmente tutti gli organi e apparati. L’osservazione clinica depone per una possibile esacerbazione di tutte le infiammazioni in atto in un organismo colpito dal virus in circa il 10 per cento degli infetti anche dopo la guarigione ma in buona sostanza chi abbia una buona immunità di base, una indenne risposta immunitaria, i giovani e i bambini (rarissima ormai la sindrome infiammatoria multisistemica Mis-c che si osservava nei giovani e a distanza di settimane da un’infezione anche asintomatica nelle prime ondate) guarisce dal contagio senza postumi e complicanze sviluppando una immunità più forte e durevole di quella ottenuta dal solo vaccino che è diretto contro un’unica proteina virale (Spike) anziché contro tutti gli altri siti sensibili della superficie virale. Tutto questo a fronte di una incapacità dell’attuale vaccino di impedire i contagi spingono molti esperti a chiedersi cosa fare rispetto alle vaccinazioni prossime future.

LE VACCINAZIONI

E’ indubbio che i soggetti fragili debbano continuare a vaccinarsi mentre negli altri casi si potrebbe optare per lasciare circolare un virus che come detto non fa più molti danni e così lasciare che la popolazione sviluppi una immunità di gregge. Strada ad esempio scelta in Danimarca. Certamente un eccesso di circolazione del virus potrebbe tuttavia aprire la strada a nuove e più pericolose varianti per cui la protezione con mascherina in ambienti chiusi e affollati e nei grandi hub aeroportuali sembra una scontata quanto utile e necessaria misura di prevenzione collettiva.
Ma andiamo con ordine. Vediamo prima cosa dicono gli esperti sul piano delle vaccinazioni e dell’immunità e sul da farsi in vista del prossimo autunno inverno.

LA TIPIZZAZIONE LINFOCITARIA

“Per valutare le difese di un individuo nei confronti delle infezioni da virus e batteri ma anche verso altre malattie degenerative come il cancro – avverte Corrado Perricone ematologo e già responsabile del Centro di Immunoematologia dell’Aorn Santobono Pausilipo di Napoli, già componente del Consiglio superiore della Sanità nonché responsabile del comitato scientifico della fondazione Mediterraneo – di fondamentale importanza è l’indagine per lo studio dell’immunità con analisi specifiche finalizzate alla ricerca dei linfociti T che intervengono prima della risposta anticorpale con i linfociti B e ritenuti principali responsabili della risposta immunitaria al virus Covid 19”.

Dall’inizio della Pandemia la Fondazione Mediterraneo, su indicazione del proprio responsabile scientifico Perricone, ha sempre battuto il tasto sulla necessità di mettere a punto nuovi più efficaci e idonei a prevenire l0infezione oltre che a ridurre l’incidenza di ospedalizzazione e decessi. “Quello in uso attualmente – conferma lo studioso – non risolve la problematica essendo fondato sulla produzione della sola proteina Spike stimolando la produzione dei relativi anticorpi. Peraltro utilizzando l’Rna messaggero per la proteina suddetta che è portatore di una informazione genetica e non sappiamo quali conseguenze a lungo termine possa avere non essendo infrequenti in biologia molecolare, la possibilità che un enzima come la trascrittasi inversa, presente in alcune cellule, possa integrare il genoma virale nel nucleo cellulare.

Sappiano infatti che circa il 36 per cento del genoma umano è formato da virus a Rna integrati nella nostra evoluzione nel genoma cellulare insieme all’enzima che da un filamento a Rna ne sintetizza uno a doppio filamento e dunque in grado di interferire con l’assetto genetico dell’individuo. Esistono altre tecnologie meno “invasive” in grado di immunizzare contro virus e batteri che a mio avviso sarebbero da preferire per sviluppare un vaccino anzi Covid. Posso anzi dire che il vaccino attuale usa gli stessi strumenti delle terapie geniche e definirlo vaccino è a rigor scientifico fuorviante. Tralasciando una teorica e possibile interferenza genetica la stessa sintesi di Spike se protratta nel tempo, a causa del trofismo di questa proteina verso gli endoteli potrebbe generare infiammazioni croniche”.

LA RICERCA

La ricerca suggerita dalla Fondazione Mediterraneo prevede una collaborazione di tutti i Paesi allo scopo della creazione di un vaccino ideale e coincide, inoltre, con la richiesta dell’Ema (European medicine agency) per la realizzazione di un antidoto veramente efficace contro Sars-Cov-2. “Come già scritto e pubblicato, è anche fondamentale lo studio preventivo del sistema immunitario – continua Perricone – gli studi attualmente in corso sul sistema immunitario sono limitati. Non è certo il solo dosaggio degli anticorpi anti spike a darci una misura dell’immunità sviluppata contro il Coronavirus o sulla immunocompetenza di un individuo. Anche la sola ricerca dei linfociti T e B attivati è insufficiente. Ho sempre insistito nel suggerire come fondamentale un’indagine approfondita della funzionalità immunitaria degli individui a rischio attraverso la tipizzazione linfocitaria”.

La tipizzazione linfocitaria fornisce in effetti un quadro completo del sistema immunitario e attraverso l’impiego della citofluorimetria riesce ad individuare e quantificare i diversi tipi di popolazioni cellulari che compongono la progenie dei linfociti partendo da un semplice prelievo di sangue venoso”.
I linfociti sono globuli bianchi che svolgono un importante ruolo nell’omeostasi immunitaria (un equilibrio tra le varie componenti, bilanciate tra risposta e soppressione dell’eccesso di attività).

“I linfociti – continua Perricone – si dividono in Linfociti T, responsabili della risposta immunitaria cellulo-mediata in cui questi effettori intervengono direttamente sulle cellule infette o mutate distruggendole. A loro volta si dividono in Linfociti T helper e Linfociti T citotossici. I Linfociti B sono invece responsabili della risposta immunitaria umorale neutralizzante (anticorpi circolanti nel sangue responsabili della sorveglianza immunitaria) producendo appunto gli anticorpi (immunoglobuline). I linfociti T -NK (Natural Killer) sono dunque un particolare tipo di linfociti che svolgono una spiccata e micidiale attività antitumorale ed antivirale. Da mettere in evidenza c’è ancora l’azione fondamentale svolta dalle cellule T attivate (CD8 attivate) perché verosimilmente l’eliminazione del virus in primo contatto viene fatta non dagli anticorpi ma da queste cellule.
Le cellule T inoltre riconoscono pezzi diversi del virus rispetto agli anticorpi e sono fondamentali per la memoria dell’infezione.  La valutazione della quota attivata dei linfociti T ci permette concretamente di avere certezza dell’avvenuta reazione immunitaria protettiva. Tali analisi se condotte in maniera sistematica sul personale sanitario e sui fragili e anziani ci avrebbero permesso di essere certi che nei soggetti da vaccinare il sistema immunitario fosse normofunzionante.  Per concludere, negli attuali “vaccini” la presenza della sola proteina Spike è totalmente insufficiente perché dà solo una parziale immunità essendo solo uno dei componenti del virus Sars Cov 19. Nasce da qui la necessità di approfondire la natura delle altre proteine che concorrono a formare la struttura del virus, come la proteina del pericapside E, la proteina di membrana M e la proteina del nucleocapside N”.

Un discorso molto chiaro quello fatto da perticone anche va considerato che il combinato disposto del calo della sorveglianza immunitaria a distanza di alcuni mesi e della comparsa di nuove varianti del virus anche nei guariti che si presuppone abbiano sviluppato un’immunità verso tutte le componenti del virus, danno in una certa percentuale di casi a nuove infezioni. Del resto è esperienza comune il fatto che altri coronavirus come quello del raffreddore verso cui non ci si vaccina ma si sviluppa immunità dopo infezione e dunque esposizione a tutte le componenti virali, danno luogo a ripetuti infezioni anche nello tesso individuo durante una stagione o comunque nel corso della vita.

IL FUTURO DELL’INFEZIONE

La strada per combattere il Covid è dunque ancora lunga ma probabilmente nel progressivo adattamento all’uomo di questo nuovo virus, già in atto, l’infezione diventerà sempre più benigna al netto, come già indicato, della capacità di sviluppare complicazioni anche servire e letali in soggetti ammalati di altre patologie, anziani e defecati per concomitanti terapie farmacologiche che abbassano la sorveglianza immunitaria.

“Per proteggere questi soggetti fragili e anziani nelle famiglie – conclude Franco Bonaguro, virologo emerito del Pascale di napoli e responsabile per l’italia del Global virus network – occorre utilizzare le mascherine quando si hanno contatti con queste persone e in tutti gli ambienti sanitari ma anche nei grandi hub aeroportuali in cui si incrociano persone provenienti da ogni parte del mondo e potenzialmente in grado di globalizzare altre e nuovi varianti virali la cui portata ci è sconosciuta. Se la Cina e l’Asia e l’Australia anticipano le epidemie stagionali influenzali di 4 o 5 mesi rispetto a quanto accade in Europa in futuro potremmo assistere a un analogo profilo epidemiologico di diffusione anche per il virus Sarà-Cov-2. La mia impressione – conclude lo studioso – è che dovremo vaccinarci una volta all’anno anche contro Sarà-Cov-2 e si spera che arrivino vaccini più efficaci rispetto a quelli attuali che non impediscono l’infezione ma limitano e di molto le conseguenze letali del virus. Visu che tuttavia nelle nuove varianti della stirpe Omicron hanno dimostrato da dire luogo a una manifestazione clinica molto più modesta dei suoi predecessori sebbene con una infettività massima. Il virus ha pagato questa sua tendenza a sviluppare una maggiore infettività con la capacità di provocare una malattia clinicamente molto più pericolosa per la popolazione”.

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