Stanchezza, affanno, palpitazioni, difficoltà a svolgere esercizio fisico oppure, più raramente, sincope, angina e dispnea. Sono questi i più comuni sintomi della cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, una condizione patologica che in Italia colpisce circa 100mila persone. Di queste solo circa 15mila ricevono una corretta diagnosi. Nei restanti casi, i sintomi sono confusi con quelli di altre malattie a carico del cuore o sono sottovalutati. La patologia, che causa l’ispessimento del muscolo cardiaco, presenta infatti segnali comuni a molte altre condizioni cliniche con conseguente sottovalutazione dei segnali e ritardi presa in carico dei pazienti. Sulla base di studi genetici e molecolari sviluppati negli ultimi 20 anni, è emerso che piccole molecole sono in grado di legarsi alla “miosina” cardiaca, cioè la proteina chiave, fondamentale per la contrazione del cuore, e di ridurne la super-attività, portando beneficio nei pazienti con Cardiomiopatia Ipertrofica. Si tratta nello specifico del Mavacamten (MYK-461) e del CK-274.
Una malattia genetica
La cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva è una malattia genetica molto diffusa: “Le proteine del cuore vengono alterate con un aumento anomalo della loro attività contrattile”, spiega Iacopo Olivotto, Professore ordinario di Cardiologia all’Università degli Studi di Firenze e Direttore della Cardiologia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer (AOUM). La patologia causa un importante ispessimento delle pareti del muscolo cardiaco e un aumento sproporzionato del consumo di energia, che nel lungo termine può avere conseguenze anche molto gravi”.
I sintomi
I sintomi più comuni sono palpitazioni, stanchezza, affanno e difficoltà a svolgere esercizio fisico, soprattutto dopo i pasti. “Più raramente, aggiunge Olivotto, si presentano sincope, angina e dispnea. Nelle forme cosiddette ostruttive, può anche esistere un ostacolo all’uscita del sangue dal ventricolo sinistro, che, in alcuni casi, necessita di una correzione chirurgica. Esistono, però, anche casi lievi e del tutto asintomatici. Questo rende ancora più complessa la diagnosi, soprattutto nei giovani”. La malattia viene in genere diagnosticata intorno ai 40 anni, ma è spesso già presente fin dall’adolescenza. “La medicina sportiva, prosegue il cardiologo, è in grado di riconoscerla in stadi asintomatici grazie agli esami previsti per gli atleti, soprattutto l’ECG, ed è in grado di ridurre in modo significativo i casi di morti improvvise durante le competizioni sportive. Questa malattia compromette la qualità della vita, perché può rendere difficoltose anche le attività più semplici. Molto spesso è questo il primo segnale che spinge i pazienti a effettuare un controllo dal proprio medico”.
Il ruolo dei test genetici
La cardiomiopatia ipertrofica è una malattia ereditaria determinata da mutazioni in uno dei geni che codificano per le proteine del sarcomero, l’unità funzionale contrattile delle cellule muscolari cardiache. È la malattia genetica familiare cardiaca più frequente, per lo più trasmessa con modalità autosomica dominante. “Il test genetico, sottolinea Olivotto, è indicato per ogni paziente, anche se non tutti scelgono di effettuarlo. Risulta positivo in circa la metà dei casi ed è utile per studiare gli altri componenti della famiglia. Nel rimanente 50% dei malati il test è negativo, il che significa che la malattia potrebbe essersi sviluppata su base poligenica. In mancanza di un unico gene responsabile, sui familiari possono essere svolti solo gli screening clinici, quindi con ECG, nell’adulto circa ogni 5 anni, negli adolescenti più spesso, perché per età sono a rischio di sviluppare la patologia anche se ancora asintomatici. Il test sui familiari permette di identificare chi deve essere seguito nel tempo. Si tratta di esami estremamente sensibili, che oggi possono essere svolti in modo rapido, ma di complessa interpretazione: per questo è molto importante avvalersi di un genetista con esperienza specifica in cardiopatie”.
I Centri di riferimento
In Italia esistono diversi centri di cura con esperienza specifica per questa patologia e per altre cardiopatie genetiche. Il nostro infatti, è uno dei Paesi in grado di trattarla al meglio. È importante, però, che i pazienti si rivolgano ai centri dedicati, che hanno molta più esperienza nel riconoscere i sintomi, fornire corrette informazioni e individuare il migliore trattamento”.
La terapia
La chirurgia è consigliata solo per le forme ostruttive gravi e implica il ricovero in centri di eccellenza, perché è un intervento raro. “Per molti di questi pazienti, spiega il cardiologo, è necessario l’impianto di un defibrillatore salvavita. La maggior parte dei casi richiede invece una terapia farmacologica, che fino a oggi è stata costituita da betabloccanti, calcioantagonisti e antiaritmici, sviluppati per altre patologie. La prima terapia sviluppata espressamente per la cardiomiopatia ipertrofica, il Mavacamten, è un modulatore allosterico orale first-in-class della miosina cardiaca, i cui dati clinici convalidano il promettente potenziale quale importante opzione di trattamento per pazienti sintomatici con la forma ostruttiva”. Mavacamten, già disponibile negli Stati Uniti e in corso di registrazione in Europa, ha mostrato un importante potenziale nell’offrire un miglioramento rapido e duraturo di alcune anomalie cardiache chiave nei pazienti che vivono con questa malattia cronica, talvolta progressiva.
La Ricerca
Nello studio EXPLORER-HCM, mavacamten ha evidenziato un considerevole miglioramento del Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire (KCCQ OSS): 36% con Mavacamten rispetto al 15% con placebo. Il KCCQ OSS è un questionario a 23 punti malattia-specifico che quantifica i sintomi, la condizione fisica, la funzione sociale e la qualità di vita dei pazienti. Questa analisi supporta le evidenze scientifiche che indicano il beneficio del farmaco nel migliorare le condizioni di salute, i sintomi e la qualità di vita. Lo studio EXPLORER-LTE ha arruolato, al termine dello studio EXPLORER-HCM, 231 dei 244 pazienti che erano idonei per lo studio di estensione a lungo termine. EXPLORER-LTE ha dimostrato miglioramenti prolungati dei benefici cardiovascolari alle settimane 48 e 84 e il potenziale di Mavacamten nell’offrire un miglioramento rapido e duraturo nelle misure cardiache chiave. L’82% dei pazienti non ha avuto bisogno della riduzione del setto
Lo studio VALOR-HCM, inoltre, ha evidenziato che l’aggiunta di Mavacamten riduce significativamente il bisogno di procedure di riduzione del setto (SRT) in pazienti con cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva sintomatica grave candidati alla SRT, secondo le Linee Guida 2011 dell’American College of Cardiology/American Heart Association (ACC/AHA). Dei pazienti trattati con Mavacamten, l’82% non aveva più la necessità di essere sottoposto a SRT e non soddisfaceva più i criteri per la SRT secondo le Linee Guida rispetto al 23% dei pazienti che hanno ricevuto placebo. I pazienti trattati con Mavacamten hanno anche dimostrato un miglioramento delle misure della qualità di vita e dei biomarcatori cardiaci.
Le prospettive future
Alla chirurgia e terapia farmacologica, utili a trattare la malattia quando si è già presentata, si aggiungono poi le prime iniziative di terapia genica, per un intervento pre-clinico. L’obiettivo è sostituire o riparare il gene che presenta l’alterazione in una fase molto iniziale della patologia, per eliminarla completamente. Sarà rivolta ai pazienti giovani, ma la ricerca è ancora in divenire.
Gli sviluppi futuri potenzialmente più risolutivi, ma anche più lontani nel tempo pertanto, sono quelli legati alla terapia genica, tramite la quale si spera di poter risolvere alla radice il problema genetico e quindi di curare definitivamente le Cardiomiopatie. Questo approccio è già in fase avanzata di studio in alcune patologie come la Distrofia muscolare di Duchenne e la malattia di Fabry, che permettono un approccio relativamente più semplice dal punto di vista tecnico. Nel caso della Cardiomiopatia Ipertrofica una soluzione radicale di questo tipo appare ancora lontana, perché legata a modificazioni di proteine strutturali del cuore, le cui cellule mature non vanno incontro a riproduzione. La terapia genica dovrebbe essere in grado di portare il gene sano all’interno di ciascuna cellula per normalizzarla introducendo il gene normale.
Il cammino è ancora lungo, e interi settori della medicina di precisione, quale proprio quello delle terapie geniche, sono ancora ad uno stato embrionario in cardiologia, che richiederà tempo, investimenti e importanti sinergie tra pazienti, sanitari, ricercatori e industria. Ma come dice un proverbio arabo: “Chi è sulla giusta strada, è già arrivato”.