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Arma contro il Papilloma virus

[dropcap color=”#000000″ style=”style-1″ background=”#ffffff” ] L’[/dropcap]infezione da Papilloma virus umano (HPV) è l’infezione sessualmente trasmessa più diffusa in entrambi i sessi . La persistenza di tipi HPV ad alto rischio è la causa principale del carcinoma della cervice uterina, il primo tumore ad oggi riconosciuto dall’OMS come riconducibile ad una infezione. L’HPV è stato inoltre individuato come una delle cause di neoplasia a carico di altri distretti corporei, quali vagina, vulva, ano, nonché responsabile delle lesioni condilomatose a carico dell’apparato anogenitale .
I dati di prevalenza dell’infezione da HPV nelle donne, dimostrano un primo picco di infezione intorno ai 25 anni, che diminuisce con il progredire dell’età ripresentandosi con un secondo picco intorno ai 45 anni, mentre nei maschi dai 18 fino ai 70 anni di età si evidenzia una prevalenza complessiva dell’infezione che rimane costante nel corso della vita.
Lo sviluppo di vaccini in grado di prevenire le infezioni da HPV, e di conseguenza l’evoluzione a lesioni precancerose, ha offerto la possibilità, per la prima volta in oncologia, di intervenire nei soggetti sani con una vera e propria prevenzione primaria. Le nuove prospettive che si aprono con il nuovo vaccino 9-valente, unitamente ad aspetti di counselling, utili per una prevenzione completa e consapevole.

 

ASPETTI DI COUNSELLING
Il counselling si riferisce alla comunicazione di informazioni in modo che la donna possa essere in grado di scegliere e condividere i percorsi di prevenzione e cura proposti dal medico, o messi a disposizione del SSN.
È una vera e propria azione medica, che si può riassumere in tre punti fondamentali :

1) conoscenza scientifica adeguata
2) capacità di comunicazione
3) capacità di relazione empatica

Motivare le donne ad aderire ai programmi di prevenzione è un compito difficile in quanto implica aiutare la donna a maturare una consapevolezza del rischio senza sviluppare ansia di malattia.

PREVENZIONE PRIMARIA E SECONDARIA CON VACCINAZIONE E SCREENING CERVICALE
La prevenzione consiste in un insieme di interventi volti a favorire e mantenere lo stato di salute a livello del singolo individuo e della collettività.
È sempre bene fare chiarezza sul significato di questi termini, in quanto spesso esiste molta confusione e questo può comportare aspettative non congrue con la pratica preventiva. Molte persone confondono la diagnosi precoce e lo screening con la prevenzione primaria, spesso illudendosi di scongiurare la comparsa di una patologia temuta, come il cancro, mediante un esame.

È bene quindi chiarire che:

La prevenzione primaria mira ad evitare che la malattia insorga (ovvero a ridurne l’incidenza) ad esempio incrementando le difese dell’organismo, eliminando i fattori causali delle malattie, selezionando e trattando le condizioni di rischio, per esempio con il ricorso alla vaccinazione o con suggerimenti sullo stile di vita.
La prevenzione secondaria riguarda individui clinicamente sani che presentano un danno biologico già in atto, con lo scopo di guarire la lesione prima che evolva in patologia conclamata (questo vale soprattutto per i tumori).

La diagnosi precoce riguarda soggetti in fase di malattia molto iniziale, al fine di poter intervenire con cure adeguate in modo da aumentare l’aspettativa di vita (diminuire la mortalità), pur non essendovi garanzie di guarigione. Infatti, per tutta la vita il soggetto dovrà sottoporsi a controlli mirati per intervenire precocemente su eventuali ricadute.

Prevenzione secondaria e diagnosi precoce si ottengono con i programmi di screening.

La prevenzione terziaria, infine, si identifica con la prevenzione delle recidive, con la finalità del miglior reinserimento del malato nel contesto familiare e sociale.

 

PREVENZIONE PRIMARIA: AGIRE SUI FATTORI DI RISCHIO

Nel caso delle patologie HPV-correlate, i fattori di rischio noti sono:

  • HPV
  • Familiarità
  • Precocità nell’inizio dell’attività sessuale (<15 anni)
  • Promiscuità (numero di partners)
  • Parità
  • Obesità
  • Fumo
  • Stati di immunodepressione

 

Non tutti questi fattori di rischio si possono correggere mediante prevenzione primaria, ma la buona notizia è che il fattore di rischio più importante, il contagio e l’infezione da HPV, si può prevenire con il vaccino.

La possibilità di poter approntare un vaccino è stata resa possibile grazie alla scoperta delle VLP (virus like particles) che sono di fatto la capsula esterna del virus. La somministrazione genera una reazione immunitaria simile a quella che si avrebbe per contatto con il virus originario rendendo così l’organismo immune dall’aggressione dei veri virus.

In Italia oggi sono disponibili tre vaccini contro il papillomavirus:

  1. Cervarix : vaccino bivalente –protegge contro i tipi 16 e 18 (i tipi di virus in grado di causare le lesioni pretumorali)
  2. Gardasil : vaccino quadrivalente –offre una protezione contro i tipi 6 , 11 , 16 e 18 (quelli che causano il maggior numero di condilomi).
  3. Gardasil 9 : vaccino nonovalente – indicato per la protezione contro i tipi 6, 11, 16, 18, 31, 33, 45, 52, e 58.

 

HPV-9, oltre ad essere indicato nella prevenzione del cancro del collo dell’utero e dell’ano, è l’unico vaccino con indicazione specifica anche nella prevenzione dei cancri della vulva e della vagina HPV-correlati, rispetto agli altri vaccini disponibili.

La campagna di vaccinazione contro l’HPV è indirizzata agli adolescenti di entrambi i sessi, preferibilmente intorno agli 11 e i 12 anni di età. La vaccinazione è offerta gratuitamente e attivamente alle bambine nel 12° anno di vita (11 anni compiuti) in tutte le Regioni italiane dal 2007-2008.

PREVENZIONE SECONDARIA: AGIRE SULLA DIAGNOSI PRECOCE:

Il Pap test (esame di I livello)
Esso consiste nell’esfoliazione indotta di cellule normali o patologiche dal collo dell’utero. L’indagine è eseguita, oltre che in pazienti sintomatiche anche in campagne di massa in popolazione asintomatica per l’evidenziazione precoce di donne portatrici di carcinoma del collo dell’utero e dei suoi precursori (CIN). Il self sampling, in italiano autoprelievo, consente alla donna di effettuare il prelievo di cellule per il test HPV al proprio domicilio e di inviarlo al laboratorio, generalmente per posta. Questa modalità di prelievo ha l’obiettivo di superare possibili difficoltà nell’accesso agli ambulatori di prelievo dello screening (ostacolato per esempio dalla mancanza di tempo, dal pudore o da motivazioni religiose). Per questo motivo le Linee guida europee (European Guidelines) e il manuale OMS (Organizzazione mondiale della sanità) sui metodi HPV indicano i dispositivi di autoprelievo come un valido mezzo per aumentare l’adesione allo screening delle donne che non rispondono all’invito per il prelievo tradizionale. Alle stesse conclusioni arriva una recente metanalisi sull’accuratezza del test HPV effettuata mediante self sampling (Arbyn 2014). Per la ricerca dell’HPV in cellule raccolte mediante l’autoprelievo devono essere utilizzati gli stessi test clinicamente validati per lo screening. L’autoprelievo è stato già proposto in vari Paesi europei e in Paesi in via di sviluppo, nonché in Italia nell’ambito di progetti di ricerca a migliaia di donne residenti in Toscana, Veneto, Abruzzo e Lazio (Giorgi Rossi 2011, Giorgi Rossi 2015, Del Mistro 2017) e nell’ambito di un progetto pilota alle donne residenti in Umbria e in Toscana. L’autoprelievo attualmente non rientra nella routine ma solo nell’ambito di questi progetti.

Lo screening: Secondo le indicazioni dell’Osservatorio nazionale screening, prevede l’esecuzione di un Pap test ogni tre anni nelle donne con un’età compresa tra i 25 e i 64 anni. Non è indicato eseguire il pap-test prima dei 25 anni. Le infezioni da papillomavirus sono infatti più frequenti nelle fasce di età più giovani, ma nella quasi totalità dei casi regrediscono spontaneamente. Sottoporsi all’esame , dunque, esporrebbe inutilmente le ragazze a ulteriori esami non esenti da rischi. Allo stesso modo , per una donna che risulti negativa al Pap-test a 65 anni, si può escludere tumore anche per gli anni futuri, visti i tempi di sviluppo molto lenti.

Dal Pap-test al HPV-test
Recentemente si sono rese disponibili nuove tecnologie applicabili allo screening cervicale: la citologia in fase liquida (Thin Prep) e i test molecolari per l’identificazione del DNA del papilloma virus umano (HPV). Soni stati identificati 200 genotipi di HPV, di cui 30 sono ad alto rischio, dotati quindi di potere oncogeno. Quelli responsabili di circa il 70% dei carcinoma cervicali invasivi e delle lesioni intraepiteliali di alto grado (HSIL, CIN 2-3) sono i ceppi HPV-16 e HPV-18. Grazie all’ottima sensibilità e all’alto valore predittivo, questo esame è stato inserito nel protocollo diagnostico delle lesioni intraepiteliali della cervice uterina. Il test HPV consiste nel prelevare un campione di cellule del collo dell’utero con la spatola a forma di cono che deve essere ruotata per tre volte nel canale cervicale in senso antiorario e successivamente immersa in un flacone contenente liquido di conservazione. Deve essere ripetuto ogni 5 anni invece che ogni 3 anni come il Pap-test.

Indicazioni:

  • donne dai 30-35 anni, sotto tale età è ancora raccomandato il Pap test
  • donne con referti citologici dubbi (ASCUS)
  • per selezionare pazienti da inviare al secondo livello (colposcopia)
  • pazienti con lesioni intraepiteliali lievi e moderate per prevederne la regressione, la persistenza o la progressione
  • nel follow up di pazienti sottoposte a trattamento per patologia cervicale (HSL), come test per valutare il rischio di recidiva
  • nei casi di discordanza citocolposcopica

 

Colposcopia (Esame di II livello)
Nei casi in cui il test HPV risulta positivo, il materiale prelevato si esamina anche al microscopio (Pap test), senza bisogno di richiamare la donna per ulteriori accertamenti. Se anche questo esame però conferma la sua positività, si procede con la colposcopia.

Lo screening con il test HPV al posto del Pap-test trova più lesioni del collo dell’utero di quelle che trova il Pap-test ed è quindi più protettivo, pur esponendo a un maggior rischio di falsi positivi, cioè di lesioni considerate sospette che a successivi accertamenti invece si rivelano innocue.

Nel caso di presenza di alterazioni epiteliali, si verifica una reazione aceto bianca , dovuta all’elevata densità nucleare ed alla maggiore concentrazione di proteine. Queste ultime, quando vengono a contatto con l’acido acetico, subiscono un agglutinamento impedendo il passaggio della luce. Questa reazione generalmente si verifica dopo circa un minuto e persiste per 1-2 minuti. L’intensità e la durata sono direttamente proporzionali al grado di atipia cellulare presente.

Il test di Schiller rappresenta una seconda fase dell’esame colposcopico, effettuato con l’applicazione sulla cervice di una soluzione iodata di Lugol. Lo iodio, infatti, viene assorbito dall’epitelio squamoso contente glicogeno e determina un colorazione marrone scuro della superficie.

Questa soluzione, dunque, rende evidenti aree iodio negative come l’epitelio colonnare, quello atrofico e le aree di metaplasia squamosa, ma soprattutto fa risaltare l’eventuale presenza di zone di trasformazione atipiche che assumo invece un caratteristico colore giallo canarino. A questa si può far seguire una biopsia. Se l’esame istologico conferma la presenza di una lesione precancerosa, il trattamento consiste nella sua asportazione attraverso tecniche micro-chirurgiche eseguite ambulatorialmente e in anestesia locale.
Non tutte le lesioni pre – tumoriali necessitano tuttavia del trattamento: a questo si ricorre soltanto per quelle in stadio più avanzato, dal momento che quelle più semplici potrebbero regredire spontaneamente.
La refertazione dell’esame colposcopico, viene consegnata alla paziente dopo la conclusione dell’esame, corredata con disegni o con immagini riprese da una macchina fotografica o telecamera.

 

PREVENZIONE TERZIARIA: CURA E FOLLOW UP
Il follow up successivo al trattamento conservativo della CIN è componente essenziale del processo di prevenzione del cervico-carcinoma. Le variabili coinvolte sono numerosissime e si riferiscono non solo ai diversi gradi e caratteristiche delle lesioni, ma anche e soprattutto alla specifica individualità di ogni donna e a tutta una serie di implicazioni sociali e psicologiche che non possono essere ignorate, se si desidera ridurre al minimo le percentuali di abbandono del follow up.

Il follow up deve essere un processo attivo, personalizzato e condiviso, non una mera presa d’atto di step standardizzati.

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