Il caro energia – con incrementi di costi per Asl e ospedali valutati in circa 1 miliardo di euro nel 2022 che assorbirebbero tutti i maggiori stanziamenti previsti e coperti solo per il 20.30 per cento dal decreto aiuti – la recente pandemia – contro la quale abbiamo e stiamo tuttora lottando – rappresentano solo la punta dell’iceberg di una crisi sanitaria nel nostro Paese che affonda le proprie radici in dieci anni e oltre di tagli che hanno riguardato le strutture sanitarie. A tal proposito, il dossier redatto dal sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED (aderente a CIDA e a cui aderiscono le sigle ANPO-ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED) dal titolo “Sanità: allarme rosso. Gli effetti sul Servizio Sanitario Nazionale di dieci anni di tagli”, offre una interessante panoramica e spunto di riflessione sul tema sanitario. Analizziamo il dossier nel dettaglio.
37 MILA POSTI LETTO IN MENO
Il primo dato che balza all’occhio è il taglio di 37 mila posti letto, frutto della chiusura di ben 111 strutture fra ospedali (100) ed aziende ospedaliere (11), 113 pronto soccorso, 61 dipartimenti di emergenza, 35 centri di rianimazione e 85 unità mobili di rianimazione. Il periodo oggetto del report va dal 2010 al 2020. Dei 37 mila posti letto persi, 28 mila riguardano i posti ordinari e meno di 10 mila i day hospital. I posti letto meno utilizzati hanno riguardato le branche specialistiche chirurgiche. Questo dato risente naturalmente dell’impatto che la pandemia ha avuto su tutte le attività chirurgiche sospese per diversi mesi. Nei reparti di Chirurgia generale sono stati, infatti, circa 9 mila i posti letto utilizzati in meno rispetto al 2010, 4.400 posti circa in Ostetricia e Ginecologia, 4.242 in Ortopedia e Traumatologia e 6.400 posti in meno per quanto riguarda i reparti di Medicina generale. Allo stesso tempo, i posti letto nei reparti di Malattie infettive e Terapia intensiva sono aumentati in modo esponenziale. Dato che va quindi contestualizzato all’esigenze pandemiche.
I TAGLI DEL PERSONALE
Nonostante le assunzioni effettuate per affrontare la pandemia da SARS-CoV-2, fra il 2010 e il 2020 ci sono stati quasi 30 mila tagli al personale del Servizio Sanitario Nazionale. La maggioranza dei tagli ha colpito gli amministrativi (-14.422 unità), seguiti dai tecnici (-6.793) e dai medici con 4.311 unità in meno. Medici che hanno subito, inoltre, una politica di appiattimento della carriera professionale conseguente alla riduzione delle strutture semplici e complesse, accompagnate da un importanze calo degli incarichi di struttura semplice (-48.2%).
Per quanto riguarda gli altri professionisti, i tecnici sanitari registrano un caldo di 380 unità, gli infermieri restano stabili (+0.3%), mentre un aumento importante a livello di personale ha interessato i fisici (+ 29.6%) ed i farmacisti (+14%).
MENO RICOVERI E PIU MORTALITA’
Colpisce il dato relativo al crollo del numero dei ricoveri effettuati. Nel 2019, nelle Aziende ospedaliere è stato effettuato un milione di ricoveri ordinari in meno rispetto al 2010 (pari ad un calo del 66%) e oltre 400 mila ricoveri di day hospital e day surgery in meno (-68,5%). Una riduzione significativa che riflette anche la complessità dei costi dei ricoveri che le Aziende sanitarie spesso non riescono a supportare con una selezione obbligata sul numero e sulla tipologia delle prestazioni da effettuare. Riduzione che ha colpito anche il territorio. Basti pensare che nel 2020 sono state erogate 282,8 milioni di prestazioni in meno rispetto al 2010. Le indagini di laboratorio presso le strutture pubbliche e private accreditate si sono ridotte del 9% fino al 2019 e del 19% nel 2020 (97,5 milioni le analisi non effettuate nel 2019 rispetto a 10 anni prima, a cui si sommano altri 100 milioni di prestazioni saltate nel primo anno di pandemia). Le attività di radiologia diagnostica effettuate nel 2020 rispetto al 2010 hanno subito un calo del 30%. L’attività clinica ambulatoriale è diminuita del 32% con 43,9 milioni di visite specialistiche e prestazioni riabilitative in meno. La pandemia ha dato il colpo finale a una sanità già in ginocchio.
Nel 2019, si sono registrati circa due milioni di accessi in meno al pronto soccorso, rispetto al 2010. Dato che è naturalmente aumentato nel 2020 a causa del Covid e lockdown (8 milioni di accessi in meno rispetto al 2010). Nonostante questo crollo di accessi, il tasso di mortalità è aumentato notevolmente pari all’85% in più. E gli effetti sulla salute della popolazione iniziano a manifestarsi: nel 2011 il tasso di mortalità per 1000 abitanti era di 9,9 mentre nel 2019 10,6, senza considerare nel computo i dati relativi al primo anno di pandemia. Si è registrato un aumento della mortalità per tumori (179.305 i decessi per tumore nel 2019 vs i 175.040 nel 2010), così come per altre patologie quali diabete mellito, malattie emopoietiche, disturbi immunitari, malattie del sistema nervoso, respiratorie ecc. Nel 2010, il 38,6% della popolazione aveva almeno una malattia cronica e il 20,1% ne aveva almeno due. Nel 2020, entrambi i dati risultavano aumentati: il 40,9% aveva almeno una malattia cronica e il 20,8% ne aveva almeno due.
I finanziamenti erogati a favore del SSN nel decennio 2010-2020, sono aumentati del 16.4% in particolare a causa dell’impatto pandemico. Di contro, c’è stato un aumento della spesa sanitaria nello stesso periodo del 13.76%, nonostante i continui tagli delle attività, delle strutture e del personale. Tagli che hanno reso il SSN “meno accessibile” con milioni di prestazioni, visite e ricoveri in meno e conseguenti liste di attesa infinite per il cittadino. Una politica sanitaria meno pubblica e meno equa. È necessario, alla luce di questi dati, invertire la tendenza con proposte e politiche di crescita. Idee concrete che non devono basarsi solo sui tagli che comportano e continueranno a generare un crollo dei servizi al cittadino.
La pandemia ha slatentizzato e acuito una crisi sanitaria sempre più profonda. Un Paese che non investe sulla sanità e sulla scuola è un Paese che non guarda al futuro.